Di questo articolo esistono anche altre versioni:
quella più tecnica uscita sul #97 della rivista Neve e Valanghe di AINEVA:
https://aineva.it/pubblicazioni/neve-e-valanghe-97/
l’articolo originale, presentato alla conferenza ISSW (in inglese):
https://arc.lib.montana.edu/snow-science/objects/ISSW2023_O12.04.pdf
e la medesima versione, in italiano:
http://www.caimateriali.org/images/pdf/ISSW2023_paper_276-ITA.pdf
L’elefante ha partorito un topolino
(dove iniziare lo scavo? I numeri parlano chiaro!)
di Davide Rogora e Gianni Perelli Ercolini
(pubblicato su Lo Zaino n. 20, febbraio 2024)
Le novità sono presto dette. Quando mai ci si dovesse trovare a tentar di salvare la vita di un compagno di gita travolto e sepolto da una valanga, le operazioni di scavo vanno iniziate in prossimità della sonda andata a segno per localizzarlo. Mica balle: “… iniziare a valle, e spostarsi di tanto quanto è sotto…”, “… cominciare a scavare più indietro, del doppio della profondità di seppellimento…”; ecco, fate così e al vostro socio gli bruciate un tot di punti percentuali delle chances che avrebbe di scamparla se invece faceste come si dice di fare nel manuale dei CAIANI.

Nota bene, sepolto significa tutto sotto, non un po’ dentro un po’ fuori. Può esser poco o tanto, ma tutto. Poco è fino a mezzo metro con neve coesa, ovvero 70 centimetri con neve soffice. Soffice è quando lo scarpone vi sprofonda tutto, e in queste speciali circostanze il manuale specifica chiaramente come comportarsi diversamente.
Qualora fosse sotto un metro, la faccenda sarebbe già molto seria. Meglio non improvvisare, imparare ex ante un protocollo d’azione collaudato e ogni tanto allenarsi per evitare l’impedimento da ruggine accumulata. Così facendo, a parità di altre condizioni determinanti, si avrà quantomeno la coscienza in pace per aver fatto… tutto il possibile. Per la giustificazione tecnica di questa affermazione vedremo oltre, un po’ di pazienza.
Queste brevi note vorrebbero invece raccontare la storia, il dietro le quinte, di come e perché si sia giunti a ciò; e una storia che si rispetti dovrebbe allora cominciare così:
“C’era una volta il direttore di una scuola centrale di scialpinismo, di un grande e blasonato Club di alpinisti, che trovandosi a dover aggiornare i contenuti del manuale con cui insegnare, si pose l’ambizioso proposito di stabilire quali tecniche adottare, fra le varie possibili, sulla base di evidenze tangibili e ripetibili anziché sulla base della ‘voce dei senatori’…”.
Egli auspicava il dibattito “scientifico” di tutte le tesi in quello specifico ambito (l’intervento di soccorso in valanga) mediante il confronto fra tutti i portatori d’interesse: istruttori del Club, esperti in neve e valanghe, guide alpine e soccorritori, sia civili che militari per giungere ad una sintesi che superasse lo status quo del “noi facciamo così”, “quelli fan cosà”, “gli altri van per la loro strada”… come era. Correva l’anno 2012 (!) e seguirono alcuni incontri, qualche timida prova in campo, ma fu presto chiaro che fra dichiarazioni d’intenti e svolgimento di incarichi c’è di mezzo il solito mare del dire/fare.
La storia prosegue, e si capì ben presto che per arrivare a un dunque sarebbe stato più efficace concentrarsi sul dominio specifico di competenza, l’autosoccorso, procedendo il più speditamente possibile con le forze del Club e i pochi enti esterni concretamente interessati. Furono tempi di intenso lavoro. Sia concettuale, per osservare cosa/come si facesse in giro per il mondo, affinare le tesi pro/contra, specificare i protocolli più rispondenti all’esigenza. Sia, non certo meno importante e assai pratico con numerose e faticose sessioni di sperimentazione in campo, innevato. Sforzi che più di una volta hanno visto molti volontari dedicarsi alla causa dalle prime luci dell’alba, al far della sera.
Gestazione conclusa, travaglio assolto, nel 2017 la Scuola Centrale di Scialpinismo del famoso Club mette un punto fermo: l’aggiornamento del protocollo di autosoccorso in valanga è definito, e finito. Visto, si stampi!

Cosa c’era di così “nuovo” nell’elaborato offerto alla comunità didattica (ma non solo) del famoso Club? In sintesi, tre caratteristiche: lo stato dell’arte sul come fare, scelto in base ad evidenze oggettive e ripetibili; la progressività chiaramente indicata del cosa imparare, in funzione delle capacità iniziali dei soggetti interessati, distinte su tre livelli d’esperienza; l’abbandono dell’approccio enciclopedico, cioè il tentativo di descrivere tutte le tecniche note e possibili per amor di completezza.
Liberi tutti, allora, fino al prossimo aggiornamento, previsto per le calende e chi vivrà vedrà, se saranno romane o greche. Nel frattempo però si registrava, osservando fonti web o partecipando ad eventi rivolti ad un pubblico più ampio dei soli soci o allievi dei corsi del famoso Club, che i concetti del nuovo “manuale”, se non addirittura i medesimi contenuti, erano riutilizzati o addirittura copiati a piè pari, anche da altre figure di spicco tanto dalla sfera dei professionisti quanto da quella del soccorso organizzato, ma anche da volenterosi divulgatori o da accademia di noto brand di attrezzature outdoor. Però con una specifica e ricorrente eccezione: la prescrizione sul “dove iniziare a scavare”. Infatti, in queste fonti si trova la perentoria indicazione di allontanarsi dalla sonda andata a segno di una quantità multiplo della profondità di seppellimento.
E qui nacque il rovello. Ma perché questo aspetto era controverso? Quale poteva essere il motivo che animava i dissenzienti? Pur tornando con la memoria alle accese discussioni che caratterizzarono alcuni confronti, l’unico razionale ricordato era il primum non nocere perorato, fino ad accapigliarsi, dal più genuino fra i soccorritori per vocazione, cioè la motivazione sostenuta che “a rischiar di calpestare” il soggetto sepolto c’era da fargli più male che bene. Pur nelle more di un robusto approfondimento probabilistico, questa esigenza fu nondimeno contemplata nei c.d. casi speciali messi anch’essi “a manuale”.


La storia fa il suo corso ma il dubbio rimane e, un bel giorno, si decide di farlo fuori. Nasce cioè l’idea di affrontare tecnicamente la questione e fare ciò che occorre per provare se far così o far cosà conduce a risultati apprezzabilmente diversi. Un po’ come accertare che l’acqua bollente scotta, ma la ricerca è la ricerca, bellezza. Così come fior di accademici han dato una misura [1] al senso comune che in bici assistita si fa meno fatica o a pari fatica si va più lontano, checché sostengano gli strenui sostenitori del “si fa fatica lo stesso”, … noi ci siamo (auto)imposti di dare una misura agli effetti sussistenti fra iniziare a scavare da vicino o da lontano, dal punto di vista del soggetto sepolto, però.

Deciso, fatto. Grazie a tanti volontari che hanno aderito alla chiamata, chi di buon grado, chi un po’ sospinto, e sono stati parecchi, 72 per amor di precisione, sono state scavate tante buche (42), metà in un modo e metà nell’altro. Col metodo “a manuale” e con la variante che, senza voler esagerare per tirar l’acqua al proprio mulino, imponeva di allontanarsi dalla sonda ad una distanza pari a quella di seppellimento (1.3 m, per la cronaca), e non 1.5x o addirittura 2x come taluni tengono a raccomandare.

In questi esperimenti lo scopo è stato quello di misurare e registrare il tempo impiegato dai soggetti in azione (squadre di 3 elementi ciascuna) per raggiungere due traguardi essenziali al tentativo di salvare la pelle al compagno: individuare la punta della sonda, ovvero capire da che parte ha la testa e allargare il buco fino a tot (80 cm, verificati), cioè potergli liberare naso/bocca e di conseguenza anche il torace. Farlo respirare, insomma.
È saltato fuori che a cominciare da lontano ci si mette più tempo. Bella scoperta! Verrà da dire a qualcuno. Ma, risparmiando lo spiegone statistico (che si può però leggere nell’articolo tecnico [2]), aggiungiamo che la differenza è proprio reale, non è imputabile al caso o alle inevitabili imprecisioni di misura o al particolare gruppo di persone che hanno svolto i test. È significativa e in media si tratta di due minuti e mezzo in più. A questo punto: fate un bel respiro, trattenete il fiato … e provate a contare 1001, 1002, 1003 … fino a 1150. Anzi no, a ben pensarci quelli che scavano potrebbero essere i sottoperformanti, rispetto alla media; ecco, allora continuate a contare: fino a 1260! Siete ancora lì?
Più passa il tempo, meno probabilità restano di scamparla. La c.d. curva di sopravvivenza è arcinota a chiunque abbia sentito parlare almeno una volta di valanghe e (auto)soccorso, e tutti avranno ben in mente la soglia dei 15-18 minuti oltre la quale pressappoco solo 1 su 3 riescono ad evitare l’asfissia. Forse è meno consueto pensare a questa circostanza come un tasso di riduzione, una candela che si spegne alla velocità di circa -2.8 punti percentuali, per ogni minuto che scappa via … da cui è immediato ricavare quanti se ne sciuperebbero a non fare come dice “il manuale”: mediamente -7% ma, se cascassimo male, fino anche -12% o peggio. Meditate gente, meditate.
Siamo andati a raccontarlo anche all’International Snow Science Workshop 2023, la conferenza periodica che riunisce da tutto il mondo professionisti, educatori e accademici impegnati a vario titolo in tema neve e valanghe, per confrontarsi sugli esiti delle più recenti ricerche. Non si è messo a ridere nessuno, anzi, a seguito della presentazione dei risultati, anche la Commissione Soccorso in Valanga di CISA/IKAR ha richiesto una replica durante il congresso annuale che nel 2023 si è svolto proprio in Italia, a Dobbiaco.
Fine della storia, sperando che il topolino scaturito dallo sforzo dell’elefante possa indurre una stilla di riflessione a chiunque voglia o debba raccomandare o praticare un agire metodico attuando il disseppellimento di un soggetto coinvolto in valanga.
Ci abbiamo impiegato un sacco di tempo e uno sforzo notevole; siamo riconoscenti a tutti quelli che hanno “lavorato per la scienza” scavando con impegno, agli scienziati veri che ci han dato una guardata per controllare di non andar dicendo fesserie, ma soprattutto siamo contenti di aver fatto un lavoretto con buona volontà e destinato agli altri, proprio come abbiamo imparato a fare da quel Direttore da cui questa storia è cominciata e al quale ci ispiriamo in un ricordo struggente.
Sursum corda.
Note
[1] Mountain bike a pedalata assistita, V. Mitterwallner et al., Journal of Outdoor Recreation and Tourism, 2021 https://doi.org/10.1016/j.jort.2021.100448 – Traduzione IT in: Mountain bike a pedalata assistita – GognaBlog (sherpa-gate.com)
[2] Dig close, dig fast. A study on the consequences of excavation start point choice in avalanche companion rescue, Davide Rogora et al., International Snow Science Workshop Proceedings 2023 http://arc.lib.montana.edu/snow-science/item/3023 Traduzione IT qui: http://www.caimateriali.org/images/pdf/ISSW2023_paper_276-ITA.pdf
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Come la pensi tu l’abbiamo capito.
Abbiamo anche capito come secondo te pensano i vertici apicali del CNSAS (ma anche gli ebrei, gli europei, i russi, ecc.)
Noi però si stava ragionando attorno alla realtà dei fatti…
Ho già detto che l’istruttore CAI non è un qualsiasi formatore di montagna. Ma è il formatore secondo il modello del CAI, che pone prudenza, autodisciplina e responsabilità come obiettivi strategici fondamentali. I discorsi sulle scelte individuali (degli allievi) sono terreno ideologico molto sdrucciolevole, specie da un punto di vista di responsabilità (giuridica, non ci piove, su quanto avviene nelle uscite; morale ed etica, ma forse chissà anche giuridica, sull’attività privata degli allievi. se dici all’allievo “spingi” e quello poi s’accoppa… è una fattispecie in cui nessuno vuole che gli istruttori CAI si possano trovare). Io ho notato che, centralmente, si preferisce esser tranchat e andare sull’assioma indiscutibile (allievo, fai così, punto) per non lasciar margini individuali cui si potrebbe perdere il controllo. Per la “libertà” individuale degli istruttori, è una questione di coerenza deontologica, chiamiamola così. Non può pestare sugli allievi (non fare “questo”, non fare “quello”..) e poi nelle domeniche alterne fare privatamente “questo” e “quello”. Gli allievi non capiscono più cosa sia corretto o meno.
Le cazzate le dite voi, a maggior ragione se NON fante parte del mondo didattico: le vs interpretazioni non hanno nessun riflesso su quanto viene elaborato e deciso all’interno di detto mondo. L’obiettivo chiave della didattica e s-cannibalizzare i cannibali. ovviamente uso un linguaggio crovelliano. Il linguaggio ufficiale sarà più aulico, ma il punto cardine dell’insegnamento è l’approccio prudenziale in termini di autodisciplina. Se arriva un allievo che, come personalità, è già maturo e consapevole, non c’è bisogno di s-cannibalizzarlo. Se invece arriva un cannibale, lo devi s-cannibalizzare e, in questi casi, l’esperienza ultra40ennale insegna che è quasi sempre inevitabile impostarlo a martellate. E praticamente impossibile s-cannibalizzare un cannibale facendogli fin dall’inizio discorsi del tipo “libertà, scelte individuali, autovalutazione, ecc”. Un cannibale, se non lo imposti rigidamente fin dall’inizio, continuerà a rimanere cannibale. Una volta che lo hai impostato come dio comanda e che lui ragiona in termini di autodisciplina, allora, al 3 o al 4 anno del ciclo didattico, gli potrai fare discorsi “filosofici”.
bene, creiamo pure un bel gregge. Pensiero unico, vestiamoci tutti uguali, facciamo tutti le stesse cose e allo stesso modo. Bel modo di far vivere l’alpinismo.
Una sola cosa e poi giuro basta, questo elefante è già diventato un mammuth.
Tra “si fa così, punto” e “si pensa così, punto” c’è una certa differenza.
“[…] mutatis mutandis, vale il parallelismo giuridico fra testi di legge e orientamento giurisprudenziale. La mentalità dominante fra gli esaminatori degli esami (e poi degli aggiornamenti) per i titolati è tutt’altro che ‘libertaria’: manca poco che ti controllino di che colore sono le mutande che indossi.“
E se le mutande sono di colore sgradito? Te le devi cambiare? Al cospetto degli esaminatori?
Ho capito: il tuo mutatis mutandis deve intendersi “cambiate le mutande”.
Ohé, ma te set ben dur!
Prima parli di scuole, centro nazionale, linea ideologica obbligata, documentazione e poi affermi “A di là di quello che c’è scritto qui o là” quando ti si dimostra, documenti alla mano, che stai dicendo cazzate e che non c’è traccia di autodisciplina ma vengono chiaramente definiti come principi di comportamento sostenuti e approvati dal CNSASA la libertà d’azione, esperienza personale quale elemento principale della conoscenza, accettazione del rischio e altrettanto definita come assurdità le ipotizzate normative in ambito montano.
Se mi dici quali parti non capisci magari provo a spiegartele: o pretenderesti che scrivessero Crovella, piantala con le tue cazzate!
@ 291
Caro Giuseppe, mi sa che, dato che vuoi entrare nelle diatribe crovelliane, ti prendi anche tu una bella gatta da pelare.
Te ne rendi conto?
P.S. Benvenuto nel club!
A di là di quello che c’è scritto qui o là, ciò che conta è la mentalità dominante fra gli esaminatori dei corsi per titolati. Ho già detto che, mutatis mutandis, vale il parallelismo giuridico fra testi di legge e orientamento giurisprudenziale. La mentalità dominante fra gli esaminatori degli esami (e poi degli aggiornamenti) per i titolati è tutt’altro che “libertaria”: manca poco che ti controllino di che colore sono le mutande che indossi. Se, in quel contesto, uno si mette a fare discorsi di stampo “sindacalista”, della serie “eh sì, però l’articolo X, paragrafo Y, comma Z… dice questo e non quest’altro… “, stai tranquillo che ti fanno correre alla velocità della luce. E senza nuovi titolati le scuole rischiamo di non ottenere i futuri nulla osta, di conseguenza i titolati non potranno che esser consoni con i dettami preferiti e così si procede verso l’omogeneizzazione complessiva.
Pentiti Battimelli! Pentiti prima dell’arrivo delle squadre crovelliane in orbace e aquilotto del CAI!
Accipicchia, siete ben duri d’orecchie! Il quibus è nell’autodisciplina. Innazi tutto si tratta di discorsi che si fanno nei corsi avanzati, mentre in quelli base, dove devi forgiare le fondamenta a ciascun allievo, non ti perdi in queste quisquilie, ma dai poche e semplici regole, della serie “si fa così, punto”. SLe fondamenta debbono essere solide e al di là di ogni interpetazioni. con allievi già formati, magari già al secondo anno del coiclo didattico, puoi fare discorsi di autonomia decisionale, fermo restando i principi cardine che non possono essere derogati, altrimenti va a pallino l’uniformità del messaggio didattico. Ho già detto che non possono esserci istruttori/scuole più libeertarie2 e istruttori/scuole più “rigide”, altrimenti non c’è un unico messaggio didattico nazionale, ma ogni allievo riceve una formazione diversa (a volte antitetica) a seconda di dove si iscrive. Il questo sta il carattere datato, decenni fa era così, per unq questione di dispersione statistica (certe scuole sono nate libertarie, altre rigide), ora si va verso un modello omogeneo (a ciò servono anche i controlli preventivi e consuntivi su ogni annata di ogni scuola).
Per quanto riguarda l’esempio di “corsi sezionali” garantiti dalla presenza della guida, la GA serve SOLO per la parte sicurezza sul terreno/scarico di responsabilità alla GA/rientro nella copertura assicurativa della GA, ma NON per la parte di impostazione ideologica, culturale, metodologica. A ciò dovranno provvedere le persone CAI che si prendono tale compito. Non ho tempo di cercare i riferimenti regolamentari, ma vale il principio CNSASA per cui non possono chiamarsi “corsi CAI di alpinismo/scialpinismo/ecc” quelle iniziative che NON rispecchiano fedelmente TUTTE le linee guida centrali. Addirittura si arriva a determinare il preciso elenco delle lezioni teoriche, figuriamoci il resto. Quindi non basta assoldare una GA per spacciarsi “corso” CAI. Se avviene c’è qualche cosa che non quadra. Anche per tali iniziative vanno richiesti i nulla osta alle commissioni territoriali, per cui delle due l’una: o il nulla osta è stato concesso (e allora ci sono tutti i crismi metodologico-organizzativi e quindi l’esempio è citato a vanvera) o il nulla osta NON è stato concesso (magari non è stato neppure richiesto) e allora c’è un problema istituzionale molto grave. In questa specifica ipotesi, siccome (da quello che ho capito) si tratta di attività svolta all’interno di Sezioni del CAI, responsabile della loro regolarità è il Presidente di Sezione. Se costui non è superficiale, piuttosto che doverne rispondere ex post, acclarerà ex ante che ci sino tutti i crismi.
Carlo, perché ho l’impressione che tu quando parli di “omogeinizzazione”, oppure ti sc agli contro “LIBERI TUTTI, IN MONTAGNA SI FA QUELLO CHE SI VUOLE, NO REGOLE, NO DIVIETI” stai dicendo qualcosa di completamente diverso da quello che è scritto dal CNSASA?
Ho evidenziato sotto le parole salienti…a me paiono l’esatto opposto di quanto tu vai affermando a iosa.
“Si chiede di dedicare nei corsi avanzati una lezione in cui si parli dei principi di comportamento (libertà d’azione, esperienza personale quale elemento principale della conoscenza, accettazione del rischio,..), dell’azione di prevenzione in ambiente innevato svolta dal sodalizio e della assurdità di certe ipotizzate normative, della necessità di formazione e di regole frutto dell’esperienza di chi la montagna la frequenta per passione o per lavoro.”
Il resto viene di conseguenza, fino alle singole manovre che NON sono insegnate come nozioni a sé stante, ma come infiniti tasselli del principio di base della didattica. Che si stia andando in questa direzione è innegabile, che si proceda morbidamente altrettanto e ho già spiegato perché. Sinceramente pensavo che il sistema fosse un po’ più avanti nel processo di omogeneizzazione nazionale, stante il fatto che esso è in essere da molti anni. Ho già detto che l’omogeneizzazione avverrà piano piano, attraverso i ricambi generazionali. Qualsiasi scuola per sopravvivere nel lungo termine deve avere nuovi istruttori titolati, i quali per prendere il titolo dovranno avere una mentalità coerente, sennò… addio titolo individuale e, in assenza di adeguati titolati, la scuola non otterrà il nulla osta all’attività. E’ lì che i nodi arriveranno al pettine.
La “montagna partorita” è conseguenza della constatazione di quanto siamo ancora lontani dall’ effettiva omogeneizzazione del modello didattico CAI. permangono sacche di pensiero molto distanti, se non antitetiche, al pensiero che dovrebbe caratterizzare qualsiasi istruttore CAI e quindi qualsiasi scuola CAI. Che fatica stanno facendo le autorità centrali! Pensare che tale omogeneizzazione NON è iniziata ieri, ma 26 anni fa, al momento della fusione che generato la CNSASA. Concediamo un’inerzia iniziale al sistema, diciamo 10 anni (!) per “focalizzare” che il nuovo vento: significa che sono almeno 16 anni che ci si sta muovendo nella direzione indicata. L’obiettivo strategico di base dell’insegnamento, dal Brennero a Ragusa, è il principio dell’autodisciplina, cioè della capacità individuale di saper controllare, se in termini di programmazione ex ante meglio ancora, le criticità e i rischi dell’andar in montagna. Certo in un contesto di libere scelte, ma sempre coerenti e codificate all’interno del principio generale dell’autodisciplina.
Articolo 18 dei corsi sezionali organizzati dalle Scuole di Alpinismo. Autore: CNSASA: Si chiede di dedicare nei corsi avanzati una lezione in cui si parli dei principi di comportamento (libertà d’azione, esperienza personale quale elemento principale della conoscenza, accettazione del rischio,..), dell’azione di prevenzione in ambiente innevato svolta dal sodalizio e della assurdità di certe ipotizzate normative, della necessità di formazione e di regole frutto dell’esperienza di chi la montagna la frequenta per passione o per lavoro.
Vediamo se raggiungiamo i 500 commenti anche qui: Crovella, credo tu sia a conoscenza del fatto che molte sezioni non dispongono di Istruttori in grado di gestire un corso e di conseguenza si appoggiano ad una guida alpina. Come fate in questo caso? Un corso full-immersion dove la guida viene caianizzata in poche ore in modo da rispettare i dettami più volte da te enunciati? Altrimenti c’è il rischio che gli allievi crescano… storti!
@ 281
Comunque, a onor del vero, il “topolino” mi sembra a dir poco un “topolone”.
A volte io lo chiamo Krovellik o Terminator.
Gianni, “ascolta, e cerca di capire. Quel Terminator è là fuori. Non si può patteggiare con lui; non si può ragionare con lui. Non sente né pietà né rimorso né paura. Niente lo fermerà prima di averti eliminato. Capito? Non si fermerà mai.“
P.S. Carlo, sto scherzando!
Interessante arguzia, ma in realtà la mia argomentazione è fondata. Se non vivi quasi quotidianamente, il giro che prende le decisioni centrali (qualunque esse siano) non puoi pensare di percepire quale sia la mentalità che genera tali decisioni. Si parla per sentito dire, per deduzioni a tavolino, proiettando la personale visione sull’argomento… mentre in realtà le decisioni vengono prese “la”, nel luogo istituzionale preposto. In pratica si fanno i conti senza l’oste.
#280 Crovella. Scusate se mi intrometto in questa a dire il vero assai poco appassionante diatriba. Come fanno Marco e Matteo a discettare della mentalità dominante, se non fanno parte dell’ambiente? Ma è semplice; perché non ce n’è bisogno. Dato che, come ci è stato ripetuto fino allo sfinimento, detta mentalità dominante coincide con quella di Crovella (se non si è uniformati e si sta nell’ambiente, si rischia l’epurazione; aspetto timoroso che venga il mio momento), basta leggere i suoi circa cento commenti al riguardo in questo topic, di cui a questo punto sembra opportuno ribaltare il titolo: “il topolino ha partorito un elefante”.
Oltre che “ignoranti” (nel senso latino, cioè che “ignorate” l’argomento) dimostrate pure di esser superficiali e pasticcioni. Da 7 anni (almeno, forse di più) scrivo articoli sul questo Blog e ho sempre specificato che faccio parte della scuola torinese di scialpinismo. A parte ciò basta informarsi. Lo stesso per la mentalità dominante: come fate a discettarne, senza metter piede nell’ambiente? Infine: eccome se, in questi tempi, ci sono torinesi (mie colleghi di scuola) tanto nella CNSASA quanto nella Scuola Centrale, in quest’ultima addirittura nel ruolo apicale…
“La mentalità dominante non è codificabile in testi scritti…”
sopratutto se “domina” praticamente solo nella tua testa, direi!
277:
Ci sono torinesi, come ci sono, vivaddio!, componenti di altre realtà,
Tu parlavi di torinesi nella CNSASA e nelle Scuole centrali… E specifica bene che tu non tiri in ballo la Gervasutti, caso mai ti leggesse qualcuno di loro e pensasse il contrario… 😀
Ci sono torinesi, come ci sono, vivaddio!, componenti di altre realtà, ma cosa c’entra? Tra l’altro le cariche sono state rinnovate di recente (2023). Ogni vs. affermazione consolida la sensazione che parliate di cose che NON conoscete davvero… La mentalità dominante non è codificabile in testi scritti…, ma è il frutto di svariati contributori. Tuttavia si genera una “risultante” che (per chi conosce davvero l’ambiente), è molto evidente, direi palpabile. La mentalità è qualcosa che, se esiste, la “senti” ma non parlando a tavolino… Ripeto: fate la prova del 9. Andate ai corsi per titolati e lì fate i discorsi che tirate fuori qui e vediamo cosa succede. Infine, per rispetto alla Scuola Gervasutti (inopinatamente citata da altri), preciso che io NON faccio parte di tale scuola, ma di quella di scialpinismo, altrettanto blasonata e longeva. Non voglio che gli amici della Gerva si sentano tirati per i capelli nel pollaio che state facendo, per colpa di imprecisioni assolutamente non ascrivibili a me. Anche scambiar una scuola per l’altra (così come non sapere che esistono CNSASA e Scuola Centrale, con quali differenze istituzionali e quali collaborazioni fra di loro) la dice lunga sull’enorme minestrone che avete in testa. Sguazzateci pure in quel minestrone, ma il mondo didattico del CAI è una cosa ben diversa da quello cui pensate voi.
@ Marco
La questione gia’ mi interessava poco , ma trattata cosi diventa stucchevole.
Expo, ma ti sei reso conto che tutto ciò è partito dall’amichetto tuo che “conosce i vertici apicali” e che di quello che gli dice PERSINO un Direttore ultratitolato di una Scuola CAI se ne frega “perché lui sa, conosce, è addentro…”
Il mio papa’ c’ha la macchina piu’ grande.
Matteo, dimenticavo: è TRENTINO mica piemontese!
Matteo, io conosco il PRESIDENTE della CNSASA! Ma lo conosco proprio bene da più di 20 anni! 😀
Oh acciderbolina, ma ne conosco ben tre dei “centrali” e ci ho pure arrampicato assieme…
allora mi sento titolatissimo sulle squole CAI e il loro indirizzo ideologgico!
🙂 🙂 🙂 🙂 🙂 🙂 🙂 🙂 🙂
Benassi NON FA PARTE DELL’ORGANICO CAI?
Battimelli NON FA PARTE DELL’ORGANICO CAI?
Tu sei fuori!
Crovella, ma esisti solo tu e la scuola Gervasutti?
Ma sei sicuro di quello che stai dicendo? La Sezione di Torino ha circa 4000 soci su 330.000 e tu continui a farne il centro di tutto il CAI, il faro di riferimento… Milano ne ha 6.700 (per dire, quando ci ho lavorato, fino al 2015, ne aveva 8000…Banalotti, direttore scuola centrale alpinismo: Milano; Cappellari, Padova; Gnaccarini, Mantova; Veronelli: Lecco; De Paolis, L’Aquila; Olivero, Chivasso (nel Comitato di Direzione con altri 4+Direttore, vice e segretario; Pappani, Parma; Sarti, Bolzano… Dove diavolo sono TUTTI questi torinesi? Ce n’è uno, UNO!
E’ incredibile come alcuni individui, che allo stato attuale NON risultano facenti parte del mondo didattico CAI, affermino di conoscere il mondo didattico CAI più di chi ne fa parte da svariati decenni senza soluzione di continuità, avendo operato (anche in ruoli apicali) in una delle scuole più longeve e di maggiori dimensioni a livello nazionale, scuola che vanta OGGI dei propri rappresentanti negli organi centrali…
Mi sembra che , fatto salvo che tutti gli istruttori aderiscano allo stesso tipo di didattica e insegnino tutti le stesse manovre , il motivo del contendere si la propensione al rischio che di “default” ti propone un istruttore Cai.
.
All’ opposto di quanto qualcuno lamentava solo un paio di settimane fa’ su questo forum , qui non si parla piu’ di “allievi” che si aggregano come passeggeri alla cordata di un istruttore , ma al contrario di allievi con un proprio spirito di iniziativa da incoraggiare o frenare.
.
Per me il Cai dovrebbe cercare di uniformare gli stimoli nelle due direzioni dei vari istruttori.
.
Se riavvolgo il nastro di un po’ di anni , ricordo che il post-corso era un “momento magico” in cui nessuna meta sembrava lontana , e si facevano anche un tot di cazzate random.
.
Come allievo io poi ho trovato la mia strada e non credo che qualcuno avrebbe potuto facilmente “spingermi troppo” ed esortarmi al suicidio da arrampicata o da sci , per esempio dopo la laurea ho fatto un corso di parapendio in cui ho avuto sensazioni negative sul rischio che prendevo ed ho mollato li.
“o apparteniamo a due modelli didatti completamente diversi…o c’è qualcosa che non quadra nei vs ragionamenti”
A onor del vero ci sarebbe anche un’altra possibilità da considerare: scoprila anche tu cambiando la persona dell’aggettivo determinativo…<
🙂 🙂 🙂
259@Alberto;
Nel caso arrivasse tra le mani immagnesate…meglio controllare che non ci sia arsenico sulle pagine… 😉
Inutile che i 10.000 istruttori CAI sappiano insegnare TUTTE le manovre nello STESSO modo, se poi, nel gradino a monte, c’è dispersione sul piano ideologico, tipo un istruttore (o scuola) che “spinge” e uno che “frena”. L’ordine di scuderia deve essere uguale per tutti, sennò il sistema non è omogeneo, l’ho già detto. Non può valere neppure l’idea che gli istruttori insegnino le manovre e poi tocca a ciascun allievo “capire” come andare in montagna, secondo l’idea di prudenza che ha elaborato frequentando i corsi. In tal caso gli allievi già maturi/consapevoli per loro natura, acquisiranno un approccio alla montagna incentrato sull’autodisciplina, ma gli allievi che di loro natura sono “cannibali”, resteranno cannibali. Sono questi ultimi, gli allievi cannibali, che hanno bisogno di esser formati all’autodisciplina. Insegnare l’autodisciplina significa s-cannibalizzare quella parte di cannibali che si iscrivono alle ns scuole. Già la maggior parte dei cannibali esistenti oggi non passa dalle ne scuole, o perché non è neanche iscritta al CAI o perché è nel CAI ma non frequenta le scuole. E su quei cannibali che non abbiamo “per le mani”, non possiamo incidere. Ma se poi non possiamo neppure incidere su quei cannibali che si iscrivono ai nostri corsi… beh… che facciamo le scuole a fare? Per il solo l’obiettivo di diffondere le manovre? Ma quello è un obiettivo terra terra, non sono neppure necessari gli istruttori in carne ed ossa, bastano dei tutorial su You Tube…
Mah… o apparteniamo a due modelli didatti completamente diversi, seppur entrambi chiamati “modello didattico CAI”, o c’è qualcosa che non quadra nei vs ragionamenti. Non mi torna con quanto pensano i miei conoscenti che, oggi, è impegnato nell’attività (sempre in termini di volontariato) a livello centrale. Inutile che continuiamo a parlare di questo tema, tanto non rileva né il mio stretto pensiero personale (oggi come oggi, sono semplicemente uno dei circa 10.000 istruttori complessivi del CAI) né quello di altri. Ciò che rileva è la mentalità che domina a livello centrale. Possiamo fare un parallelismo con il mondo giuridico: una cosa sono le leggi, un’altra l’orientamento giurisprudenziale. Mutatis mutandis, mi pare che, a prescindere da ciò che è scritto nei testi, poi quello che determina la linea operativa è la mentalità dominante in chi traina la baracca. E mi pare proprio che il messaggio cardine dell’attività didattica CAI sia “educare all’autodisciplina”.
Ecco qui, libro e moschetto(ne):
https://it.wikipedia.org/wiki/Angelo_Manaresi
Alberto, ci avevo pensato, la foto con lui vestito da Neanderthal e con un osso in mano… Ma non avevo osato! 😀
“devi martellare in testa i concetti per far sì che vadano in montagna in modo prudente, sennò è inutile ogni attività didattica”
Utilità e fine dell’attività didattica è spiegare i pericoli dell’andare in montagna e mettere a disposizione tutti gli strumenti per andare in montagna e insegnare come usarli al meglio.
Cosa significa prudenza nell’andare in montagna invece è il soggetto a doverlo decidere, non di chi insegna.
Libro assolutamente VIETATO, da non far leggere ad un allievo, pena essere radiati:
“Confessioni di un serial climber” di Mark Francis Twight.
CROVELLA , PERCHE’ NON DICI CHIARO E TONDO CHE BATTIMELLI NON CAPISCE UN CAZZO, CHE FA IL DIRETTORE ABUSIVO DI UNA SCUOLA CAI, CHE E’ UN VECCHIO FUORI DAL GIRO, CHE LAGGIU’ AL SUD NON HANNO LA MENTALITA’ CORRETTA, ECC. ECC. ECC.?
Esiste anche un Index di “libri vietati” che potrebbero mal influenzare l’allievo ? Che so? “Cento nuovi mattini” di Gogna, “MelloMito” di J. Merizzi, e via così, includendo anche libri delle teste calde californiane, quelli di un po’ di inglesi, insomma tutto quello che ti racconta la montagna e te la fa sognare…
Crovella, hai un modo di parlare con il prossimo, che darti dell’arrogante è il minimo. Ma non fai paura a nessuno.
Inoltre perdi la cognizione che tutti noi siamo dei volontari e non viviamo di questa attività, lo facciamo solo per passione, non abbiamo firmato un contratto, quindi la vedo dura che ci facciamo impalare o incenerire.
Essere “prudenti” è una cosa e nessuno afferma di non esserlo. Da sempre si raccomanda di maturare l’esperienza per gradi e di saper rinunciare.
Ma, frenare , o tagliare le ali, a chi ha voglia di fare e ha le capacita tecniche, fisiche e morali, è ben altro.
Continuano a permanere diversi equivoci. Il primo è che la mentalità debba esistere se prevista esplicitamente da norme regolamentari. Non è detto che sia così, spesso la mentalità non richiede tali ufficializzazione, specie se maniacalmente da specificare nei suoi mille risvolti. Le persone che conosco fra coloro che occupano le cariche centrali (specie alla Scuola Centrale) sono molto più rigide di me. Provate a fare con loro alcuni discorsi come a certe vs enunciazioni e, se non vi “impalano”, di sicuro vi “inceneriscono”. Il secondo punto è che l’istruttore CAI non è un qualsiasi formatore che insegna ad andare in montagna secondo il suo personale pensiero, ma è un formatore secondo il modello CAI. cioè è un diffusore di mentalità e di nozioni secondo il modello CAI. Per eleganza non si dice che deve indottrinare gli allievi, ma che, giustamente, li deve “educare”, portandoli a livelli di maturità e consapevolezza. Ma poi in realtà si scontra con la natura degli allievi. Ci sono allievi che “capiscono” e si educano in fretta seguendoti, e poi ci sono allievi che, per mille ragioni, sono più legnosi e questi hai un bel cercare di “educarli”: a questi devi martellare in testa i concetti per far sì che vadano in montagna in modo prudente, sennò è inutile ogni attività didattica.
253@ vero!
Avevo scritto impigliarsi ma la legge di M. è in agguato anche col correttore aut.
: )
🙂
Se deve incastrarsi
Nel terzo libro sulle leggi di Murphy vi è la rivelazione ;
“Se una corda deve restare lo farà anche da singola…”
A me era stato insegnato cosi’ una vita fa’ , ma le funzionalita’ dei nodi rimangono inalterate nel tempo , il nodo a contrasto e’ usato in mille altre attivita ; allora perche’ cambiare un nodo ogni 5 anni per la stessa operazione , con i connessi rischi di fare un nodo “ibrido” ?.Una volta in Albigna ho visto due alpinisti svizzeri che si calavano giuntando le mezze con un nodo a 8.
Questa è una vera BESTIALITA’ perchè questo modo di agire è indrottinare le persone, cosa per altro facile con persone ignoranti in materia.
Indrottinare lo fanno solo i dittatori o chi si vuole approfittare degli altri.
Un istruttore può trasmettere un cultura, una conoscenza, dare agli allievi gli strumenti dove si possono conoscere i fatti, la storia: libri, riviste, personaggi, storie, anedotti. Ma non può indrottinare gli allievi, che invece devono essere spinti, per gradi e con il tempo attraverso la conoscenza e l’esperienza maturata, a trovare la propria strada.
No!
Semplicemente perchè sono nodi che si usano con scopi ben diversi.
Il nodo inglese (baciato) , semplice, doppio o triplo che sia, si usa per fare degli anelli di cordino.
Il nodo galleggiante per giuntare due corde per la corda doppia ad esempio con 2 mezze.
Quindi sono manovre diverse con scopi diversi. Non mi sembra che ci sia motivo di confusione.
A meno che un istruttore racconti che 2 corde per una doppia si possano giuntare anche con un nodo inglse, cosa che si faceva una vita fa. Ma sarebbe assurdo.
Premesso che è sacrosanto educare alla conoscenza dei propri limiti (o, semplificando, “alla prudenza”), il CAI descritto da Crovella (ammesso e non concesso che sia veramente così come lo descrive) sembra un luogo dove il sapere viene utilizzato per indottrinare, non per educare, le persone e incanalarle in un percorso predefinito, quando invece (almeno a mio modestissimo e irrilevante parere) dovrebbe essere uno degli strumenti a disposizione di ogni persona per trovare il proprio percorso.
L’importantissimo piano superiore, quello che Crovella chiama approccio ideologico, di cui non si trova traccia documentale…
Immagino che sia perché segretissimo.
E’ un esempio per cui l’insegnamento deve essere omogeneo e COSTANTEMENTE AGGIORNATO. Omogeneo/uniforme significa che l’allievo deve sentirsi insegnare la stessa identica cosa in qualsiasi scuola CAI, dal Brennero a Ragusa. Costantemente aggiornato significa che quando le autorità centrali CAMBIANO qualcosa, anche sulla singola manovra, passando (in modo motivato) da una preferenza all’altra, l’aggiornamento deve scendere a cascata a tutti gli istruttori . Come? attraverso i manuali, ma soprattutto attraverso le riunioni di aggiornamento dei titolati. I quali, tornati nelle proprie scuole, provvedono (se non ci ha già pensato il direttore di scuola) a divulgare la nuova versione negli aggiornamenti per istruttori che ogni scuola deve organizzare una volta all’anno. In tal modo la NUOVA versione trasla fino a istruttori Sezionali e aiuto istruttori. Corollario: la nuove versione, una volta ufficializzata in sede centrale, sostituisce le precedenti. In uno stesso anno di attività, non ci possono essere istruttori e/o scuole che insegnano il nodo A (vecchia versione) e altri istruttori/scuole che insegnano il nodo B (nuova versione). TUTTI dovremmo insegnare lo stesso nodo. Non si può ingenerare confusione: all’allievo insegni SOLO l’ultima versione. Idem al piano “superiore”, quello dell’approccio ideologico alla montagna (piano che io giudico molto più importante della precisione sulle manovre).
“Valutano anche le frasi che uno dice, senza stare a pensarci su, in momenti di relax (in rifugio, cenando…). Esempio se uno dice: “io non guardo mai i bollettini” questo mal dispone assai agli esaminatori, perché lo studio meticoloso e maniacale dei bollettini niveo-meteo è oggi considerato, dalla didattica ufficiale CAI, un tassello basilare e irrinunciabile”A proposito di “Ultimi aggiornamenti della dottrina tecnica” : una continuo processo di rivisitazione delle tecniche di sicurezza non rischia di ingenerare confusione nei praticanti ?Una volta era pacificamente accettato per giuntare due mezze corde il nodo baciato / a contrasto / blood knot , oggi si prescrive il nodo semplice / grup.Ok , il nodo semplice “galleggia” meglio sui potenziali incastri , ma se spiego ad un allievo tre modi di fare la stessa operazione , non rischio di indurre errori ?
Una volta preso il titolo, ammesso che si riesca a “bluffare” (praticamente impossibile), non si fa “quello che si vuole”, né come singolo istruttore, né come direttori di corsi o di scuole. Il controllo a cascata è molto rigido: le scuole devono compilare la richiesta di nulla osta preventivo per ciascun corso e, per ottenerlo, devono rispondere a determinati requisiti che sono fissati rigidamente. Ho già detto che si sta andando verso un modello in cui anche l’elenco delle lezioni teoriche è rigido e va rispettato, nella sequenza e nei contenuti. Non mi sorprenderei se fra poco tempo arrivassimo a lezioni teoriche standardizzate centralmente, per cui arriva a ciascuna scuola la dispensa su ogni tema (cartografia, meteorologia, nivologia…) e l’oratore della serata deve studiare detta dispensa e deve ripetere agli allievi “quel” particolare contenuto, non un contenuto qualsiasi, ancorché corretto. A fine corso va poi consegnata la relazione finale. Chi di dovere (Commissioni territoriali), controlla tanto a priori (concessione o meno del nulla osta) che a posteriori (relazione finale) e, in caso di difformità rispetto ai dettami codificati, non avvalla. Questo per le scuole. Per i singoli istruttori, è praticamente impossibile che, dentro a un modello rigido, possano agire e “ragionare” per conto loro, dicendo cose non in linea agli allievi. Ciascuna scuola risponde a gerarchie superiori: come può giustificare che un suo istruttore dice agli allievi cose difformi rispetto ai dettami codificati?
Ancora una volta, parlate senza conoscere la materia. Non basta saper andare in montagna per diventare istruttore CAI titolato. L’attività di verifica e poi quella degli aggiornamenti periodici per i titolati si è significativamente evoluta e l’accelerazione degli ultimi 20-25 anni è molto chiara. Chi parla dall’esterno rischia di dire cose a vanvera. Non basta dare ragione agli esaminatori, anche perché oggi essi “interrogano” (anche sul terreno) e valutano le risposte date al brucio. Valutano anche le frasi che uno dice, senza stare a pensarci su, in momenti di relax (in rifugio, cenando…). Esempio se uno dice: “io non guardo mai i bollettini” questo mal dispone assai agli esaminatori, perché lo studio meticoloso e maniacale dei bollettini niveo-meteo è oggi considerato, dalla didattica ufficiale CAI, un tassello basilare e irrinunciabile e come tale VA INSEGNATO ANCHE CON L’ESEMPIO PERSONALE. Una frase del genere pone il soggetto “fuori” dal recinto previsto per gli istruttori CAI. Ma anche sulle singole manovre, c’è oggi molta rigidità. Per cui non basta saper tirar fuori, comunque sia, uno caduto in un crepaccio: occorre farlo seguendo alla lettera l’ultima versione della manovra, anche nella sequenza temporale dei singoli passaggi, e il tutto come da ultimo manuale. L’obiettivo dei corsi per titolati NON è verificare se i candidati sappiano andare in montagna, ma verificare se abbiano la mentalità e il know-how coerenti con i dettami richiesti.
“mi presenterei alla selezione con i requisiti tecnici richiesti, che credo di possedere…”
Maddai! Davvero?
Mavalà!
🙂 🙂 🙂 🙂 🙂 🙂 🙂 🙂 🙂 🙂 🙂 🙂
A parte che non ci tengo a diventare istruttore del Cai (forse lo sono ancora, mah, non lo so), ma se aspirassi a ciò credo che mi presenterei alla selezione con i requisiti tecnici richiesti, che credo di possedere, e poi farei tutto quello che mi dicono senza discutere minimamente nulla. Darei sempre ragione agli esaminatori e non farei nulla in più di quello che mi verrebbe richiesto. Credo che passerei l’esame sia di alpinismo che di scialpinismo e diverrei istruttore nazionale supremo senza tanta difficoltà.
Poi potrei arringare gli allievi con teorie ribelli di libertà, rischio e complotto per vedere se verrei cacciato, oppure proverei a divenire direttore di una, o più, scuole del Cai creandone una speciale, dove ci si divertirebbe anche senza l’inquadramento patetico-sabaudo.
Crovella si vede che non hai fatto il servizio militare quando ai tempi nostri era la norma. Ti avrebbe aperto gli occhi, sul Cai e…sulla vita. Stammi bene.
239 CROVELLA
Talmente pieno di sé che ci fa sapere che le sue scemenze sono diverse da quelle degli altri.
E continua a invitare anche gente più titolata di lui (e che quindi sicuramente ha frequentato più aggiornamenti di lui) ad
Cioè andate agli esami per titolati e esprimete le convinzioni e la mentalità che vi caratterizzano e poi vediamo come va a finire…
E se, ad esempio, Battimelli l’avesse fatto e nessuno gli avesse detto nulla? Neppure lo metti in conto, questo e siccome non coincide con le TUE speculazioni lo metti da parte…
Un po’ di umiltà, almeno di fronte a persone che sono nel CAI da una vita prima di te e che vestono ruoli ben più importanti dei tuoi…
Nella dispersione statistica delle “scemenze”, la differenza di peso specifico è che le mie raramente NON trovano corrispondenza nella mentalità che caratterizza, oggi, l’area centralizzata della didattica CAI. Basta osservare con lucidità intellettiva come si è evoluta la faccenda negli ultimi 25 anni ma il trend è iniziato anche prima…). Ho già detto: fate la prova a del 9 in prima persona. Cioè andate agli esami per titolati e esprimete le convinzioni e la mentalità che vi caratterizzano e poi vediamo come va a finire…
Altro che il Brennero e Ragusa (o Trapani)! Tra non molto ‐ al grido di “voi ignorantazzi!” – il nostro Crovella, napoleonico, spazierà “dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno”.
Carlo, dico bene?
FINALMENTE!
Ognuno scrive quello che gli va, voi scrivete le vostre scemenze, lasciate che gli altri scrivano le loro.
ALLA FINE TE NE SEI ACCORTO ANCHE TU!
si vede che non sapete leggere, nè sul re nudo nè la frasetta ragusa è rappresentativa del punto più a sud, non c’è scritto che è il punto a sud. Ognuno scrive quello che gli va, voi scrivete le vostre scemenze, lasciate che gli altri scrivano le loro.
PS: sui contenuti ho precisato a suo tempo, andate a leggere a ritroso.
Mi spiace Crovella: GEOGRAFIA ZERO!
Il punto più a sud è Capo Passero, provincia di Agrigento, storicamente famoso (escludendo Lampedusa-Linosa, provincia di Agrigento). Il problema è che se prendi talmente tante topiche “secondarie”, viene da pensare che il tuo “pensiero” (?!) sia costruito in altrettanto modo, sulle topiche. Non ti lamentare sempre: ti indigni per le piccolezze ma sulle questioni base a cui ti han risposto Benassi e Battimelli eviti accuratamente. Eppure entrambi (e Batman ancor più -anche di te- in quanto DIRETTORE di una scuola) hanno sicuramente frequentato corsi e aggiornamenti e sono titolati… Titolati PERSINO a mettere in dubbio quel che tu affermi, come sempre senza uno straccio di riscontro, visto che in molti sono andati a cercare sui manuali CNSASA (e nella loro esperienza) e ti “ideologia unic” non han trovato traccia…
Commentatore originale???
Mai lette più banalità che nei commenti crovelliani, battute di spirito incluse, stile anni ’80.
Re nudo e uomini di sistema sono profondamente antitetici, infatti i risultati di farfugliamento si vedono.
A cosa sarà dovuto questo peggioramento intellettivo verticale?
Non è chiaro il motivo per cui le mie presunte fisime scatenino così tanta irritazione. Anche se fossero solo fisime infondate, rientrano nelle opinioni: se ne leggono a valanga di scemenze fra i commenti, che non si capisce perché ci debba esser censura solo sulle (eventuale) mie. Inoltre, se le mie fisime sono solo delle fisime, ci penserà la realtà a spianarle: perché attivarsi ora a contrastarle? Ma forse l’irritazione è sintomo di un’inconscia sensazione che, tutto sommato, non siano solo fisime di un commentatore stravagante e che il trend in atto possa anche esser simile simile a quello descritto, cosa che intimorisce e infastidisce… per cui si vuole zittire chi dice “il re è nudo”, pensando che il fatto oggettivo non sussista. Basta aspettare e la realtà chiarirà le situazioni, dal Brennero a Ragusa, con deviazione finale anche fino a Trapani (forse Trapani è chilometricamente più lontana dal Brennero, ma Ragusa è più rappresentativa del concetto di “punta sud” del territorio nazionale. Ennesima dimostrazione di chi, perso nella sua evanescenza mentale non coglie le priorità logiche, cioè si focalizza su menate collaterali prive di importanza e perde di vista il tema cardine)
A Matteo dice di star zitto perché non è nell’ambito CAI. A Benassi che lo è che è un eretico e a Battimelli che lo è ancor più di lui, che vecchio stile. Però a loro non ha avuto il coraggio di dire vai a un corso, prova a iscriverti… A Battimelli, poi…
PS – Noto con piacere che da Ragusa Crovella è passato a Trapani, come da ME suggerito… ;a forse Ragusa era un modo di dire torinese che noi non potevamo capire… O forse non sapeva che Erice è in provincia di Trapani… 😀
“Il trend è in sviluppo… Chi lo nega, non si rende conto del fenomeno”
Come al solito inizi declamando la verità, di cui peraltro non c’è traccia oggettiva e ormai in tanti ti han detto che non è vero, e poi parti con i tuoi voli pindarici a base di se e di tue illazioni per arrivare a dire sostenere “sarà così”…
Ebbasta!
“Che sia giusto o meno in assoluto, poco rileva: se la spinta dei numeri umani è in quella direzione, nessuno riuscirà a opporsi.”
Moriremo crovelliani?
Che il sistema didattico del CAI sia in un trend di irrigidimento è sotto gli occhi di tutti. Un passaggio chiave è coinciso con la fusione fra le due Commissioni (Scuole ALP e Scuole SCIALP). Il trend è in sviluppo: si procede morbidamente, per tante ragioni, ma si procede. Chi lo nega, non si rende conto del fenomeno. Il timing è incerto, potrebbe durare ancora molto (perché si va per piccoli passi), ma la direzione è segnata. L’irrigidimento del sistema ha numerose cause, ma riflettevo già tempo fa che una di queste potrebbe coincidere con l’incremento del peso specifico degli scialpinisti nel comparto totale degli istruttori. Gli istruttori di scialpinismo sono per loro natura molto più “inquadrati” rispetto a quelli di alpinismo. E’ una caratteristica strutturale: per es in questo dibattito io (che ho una matrice scialpinistica) sono “inquadrato”, quelli che sostengono tesi opposte sono in genere alpinisti. E’ sempre stato così, solo che, quando le Commissioni erano autonome, ciò non si percepiva nel comparto dell’alpinismo. Dalla fusione in poi la cosa condiziona tutto il settore e quindi anche l’area alpinistica. Inoltre, anche se non ho le statistiche sottomano, può darsi che il numero degli istruttori di scialpinismo cresca più rapidamente rispetto a quelli di alpinismo e ciò potrebbe accentuare il fenomeno. Che sia giusto o meno in assoluto, poco rileva: se le spinta dei numeri umani è in quella direzione, nessuno riuscirà a opporsi.
Io penso che l’alpinismo sia uno, uguale per tutti. Tutti ci dobbiamo adattare a Lui e non possiamo fare il contrario. I modelli didattici possono riguardare la pratica tecnica ma la mentalità che serve sviluppare è quella di adattamento alla natura. Su una parete come su un pendio nevoso. E vale per l’allievo del corso CAI come per l’aspirante Guida Alpina.
Sull’essere prima istruttore e poi (semmai) alpinista c’è da mettersi le mani ai capelli. Raramente ho visto o conosciuto Istruttori CAI che mi ispirassero fiducia in montagna. Di solito sono ricoperti di distintivi e molti hanno delle pance enormi. Scusi Sig. Crovella ma proprio non ci siamo con il suo atteggiamento rigido e uniformatore.
La natura è caos e non sarà di certo un’ideologia rigida e anacronistica a piegarla ai voleri di un Club di alpinisti della Domenica.
Mi pare che hai detto che NON fai parte del mondo didattico del CAI: che ne sai quale sia la visione oggi dominate? partecipi ai convegni? vai agli aggiornamenti dei titolati? Sei andato agli esami da titolati? Non credo. Quindi parli per sentito dire, per quello che ti hanno riferito (sicuramente in buona fede) alcuni tuoi conoscenti, ma non è detto che sia rappresentativo di cosa pensa l’ambiente nella sua totalità e soprattutto i vertici centrali.
Ho già detto: correttissimo il principio di insegnare le manovre, che devono essere insegnate nello stesso modo dal Brennero a Trapani, ma se c’è ampia diversità a monte (cioè sul piano ideologico), per cui una scuola “spinge” e un’altra “frena”, si rischia di vanificare la ricerca dell’omogeneità nazionale. Faccio un esempio scialpinistico che tra l’altro è collegato all’articolo principale. E’ inutile spaccare il capello in 16 sulla ricerca ATVA e conseguente tecnica di scavo, uniformando millimetricamente la manovra “insegnata” in tutta Italia, se poi non si insegna a livello di approccio che, anche con neve inebriante, se il bollettino dà pericolo 4 o 5, l’autodisciplina ti DEVE imporre di NON fare gite. E, corollario di tale principio, deve intervenire il comportamento individuale anche nelle uscite private: se uno insegna il suddetto principio, lo deve mettere in pratica anche nelle uscite private, altrimenti disorienta gli allievi e ciò fa perdere efficacia al messaggio didattico. Ecco perché, oggi, si è “prima” istruttori e poi alpinisti/scialpinisti.
“In ultimo l’obiettivo del modello didattico NON è produrre sofisticate vetture di F1, ma produrre semplici, banali e affidabili Panda.”
Infine questa è una scemenza: l’obbiettivo di un modello didattico (qualunque modello didattico) e in particolare dei corsi base, è quello di insegnare a chi non sa.
Non insegni l’alfabeto per produrre premi Nobel, ma perché si impari a leggere e scrivere.
Poi puoi farlo con metodi diversi, bacchettate sulle dita, punizioni e inquadramento (che è il tuo stile) o coinvolgimento e condivisione.
Ma le Linee Guida, ancora una volta, non ne parlano.
Sei libero di propugnare quello che vuoi: prova a sentire i tuoi contatti altolocati e vediamo cosa rispondono. Sono curioso
“Avrei mille altri spunti…Il principio cardine CAI …ma ancor più importante è il messaggio etico-ideologico che ne sta a monte…”
Queste sono solo tue fisime di cui non si trova traccia nelle Linee Guida. ma che tu vuoi far passare come Legge Suprema.
“Infine esser prima istruttore e poi alpinista …significa rovesciare l’approccio “io sono prima alpinista e poi istruttore””
Questa è un’inutile tautologia.
@222 guarda finché restiamo a tavolino, non se ne esce. Vuoi fare la prova del 9? La enuncio provocatoriamente. Candidati ai corsi/esami da istruttori titolati ed esprimi le tue tesi (antitetiche alle mie) e il tuo approccio “libertario” alla montagna: vediamo come reagiscono gli esaminatori. Quelli che conosco io sono ancora più inflessibili di me, specie su questi punti. Il CAAI, verso il quale io porto un grandissimo rispetto (e anche un certo affetto), non c’entra con il modello didattico del CAI. Il CAAI è un ambiente di eccellenza, come una squadra corse di F1, mentre il modello didattico del CAI è una produzione di serie di semplici e affidabili Panda. Quindi se chiedi lumi ad un istruttore che sia anche Accademico, per forza di cose ti darà (in assoluta buona fede) un’interpretazione diversa da quella che do io. Ma gli istruttori CAI totali sono circa 10.000, gli Accademici totali mi pare siano 350, forse 400, per cui gli istruttori che sono anche Accademici saranno circa 50 in tutta Italia. Vogliamo dire che sono 100? Non ci credo, ma diciamo 100: che rilievo rappresentativo hanno rispetto al totale di 10.000 istruttori CAI? Non sono statisticamente rilevanti. E’ come se tu chiedessi al campione di F1 Verstappen come si guida in autostrada mentre sulla Panda si va al mare con la famiglia, il gommone sul tetto e magari la roulotte attaccata dietro… Cmq ti saluto perché tengo le riflessioni per un eventuale articolo riepilogativo. Buona domenica!
Avrei mille altri spunti, ma li tengo per un eventuale articolo sull’essere istruttore CAI oggi. Finché vi limitate a spigolare sui termini non se ne esce. Il principio cardine CAI sul comportamento individuale (e quindi l’oggetto principe dell’insegnamento didattico) è l’autodisciplina, che poi ciò sia catalogato sotto la voce IDEOLOGIA o la voce ETICA poco rileva. Ho già detto che le manovre sono una componente importante dell’attività didattica, ma ancor più importante è il messaggio etico-ideologico che ne sta a monte, sennò insegnare a menadito le manovre e poi dare un insegnamento ideologico-comportamentale non in linea rischia di mandar tutto a pallino. Ancora: una eccessiva margine di “personalizzazione” rischia di inficiare il progetto di un modello didattico unico dal Brennero a Trapani anche sul piano “approccio all’andar in montagna”. Infine esser prima istruttore e poi alpinista non significa cancellare l’attività individuale, anzi: significa rovesciare l’approccio “io sono prima alpinista e poi istruttore”. In ultimo l’obiettivo del modello didattico NON è produrre sofisticate vetture di F1, ma produrre semplici, banali e affidabili Panda. Le citazioni di spiriti liberi alla Tita Piaz o alla parte “alpinista di vertice” di Gervasutti appartengono ad un altro capitolo, a un altro reparto dell’andar in montagna. Anzi sono proprio l’antitesi di quello che si propone il modello didattico CAI.
“Se sono tuoi “simili”…ovvio che si pongono sul versante opposto al mio…
poi bisogna vedere personaggi di che anni, perché il trend di cui parlo è roba in corso”
Diciamo che non miei simili, al massimo sono io che vorrei essere loro simile: Istruttori Nazionali pienamente in servizio, CAAI, attività che nemmeno nei miei sogni più bagnati…
Quanto al trend in corso direi che è chiaro ormai che è solo nel tuo cervello, che non esiste nessun diktat centrale verso una omogeinizzazione ideologica, ma unicamente un (pregevole) sforzo verso un miglioramento e omogeneità della didattica e della tecnica.
Il resto sono fandonie e fanfaluche tutte tue.
Solo per sdrammatizzare.
Tita Piaz sta conducendo la salita dello spigolo Delago al Vajolet con, legata alla corda, una nobile e bella signorina. Lo spigolo è bello ripido e il quarto grado dichiarato è insalibile se uno ha quel grado come suo limite.
La signorina implora la guida di tirare la corda ma Piaz glielo concederebbe solo in cambio di una notte (o cengia, non è specificato nelle leggende locali) d’amore. La signorina si nega e la guida tace. Lasciando la corda legata alla sosta, Piaz si slega, corre giù per la via normale della torre, che non è per nulla facile, infila in volata lo spigolo Delago e giunge alle spalle (leggi chiappe) della signorina incrodata che incredula non crede ai suoi occhi.
Sempre la leggenda dice che alla fine si concesse, perché il diavolo, si sa, ha il suo fascino.
Rispetto a Tita Piaz di sicuro!
Marco, rifletti bene prima di scrivere che Giusto Gervasutti era “inquadrato”.
Torno su “prima alpinista poi istruttore”
Per entrare a far parte del Corpo Istruttori è necessario presentare una richiesta scritta, corredata di adeguato curriculum, al Consiglio Direttivo della Scuola.
La frase è tratta dal Regolamento della Scuola G. Graffer della SOSAT di Trento. scuola da cui proviene e di cui era direttore il Presidente della CNSASA… La Scuola è storica quanto la “Gervasutti” ma il “patron”, chiamiamolo così, non era un “inquadrato” Giusto Gervasutti ma uno “spirito libero” come Tita Piaz… Ecco…
Il Cai ma soprattutto gli istruttori hanno grossi problemi di responsabilità.Per questo nel corso degli anni il CSMT e la Scuola Centrale hanno messo a punto una serie di tecniche e manuali che sono all’avanguardia. Tutti gli istruttori devono seguire queste direttive e tecniche NON per ideologia ma perchè allo stato attuale sono le migliori disponibili.per salvare la pelle. Salvare la pellaccia sia con gli allievi che con l’attività individuale. Poi ci sono gli esperti che ne pensano che tutto questo sia superfluo.
Creovella, ETICA NON SIGNIFICA IDEOLOGIA….
Beh, dipende dai personaggi. Se sono tuoi “simili”, sia detto senza voler esser offensivo, ovvio che si pongono sul versante opposto al mio. Ma questo non è sintomo di quale sia la tendenza di fondo più rilevante nel sistema (poi bisogna vedere personaggi di che anni, perché il trend di cui parlo è roba in corso… mi riallaccio al concetto “storicamente datato”, ecc ecc ecc…). in più non conta né quello che pensa il singolo istruttore rigido né il singolo istruttore libertario, bensì quello che pensano negli organi centrali e nella scuola Centrale ancor più che nella CNSASA. Se vai a un esame per titolati, hai un bel dire eh ma me l’ha detto quel mio amico… Se non si ha la testa “caiana”, in quegli esami si parte male, a prescindere dalle effettive capacità tecniche individuali.
Circa il documento che hai citato e che non avevo prontamente a mente, per pura curiosità ho dato una rapidissima scorsa. Secondo me non sei abituato al linguaggio molto ministeriale della CNSASA (come di tutto il CAI). Ovvio che non troverai mai, in nessun documento ufficiale italiano, un capitolo intitolato IDEOLOGIA, richiamerebbe troppo il ventennio…. Però i temi sono riscontrabili, per punti sintetici, a pagina 3 ai due paragrafi “Base culturale” e “Formazione specialistica degli istruttori sezionali”. Mi pare che una voce indichi “etica dell’alpinismo”, che è una voce ripresa in modo ben più analitico in un manuale CNSASA dove si descrive il principio dell’autodisciplina come pilastro cardine dell’approccio alla montagna. Ciao!
“io ho impressione che…Ne deriva che…Questo non “quadra” …”
Ecco così va meglio.
Io che ho conosciuto parecchi istruttori della Gerva e ho arrampicato alcuni di loro ho tratto impressioni diametralmente opposte alle tue circa al loro “inquadramento” e alla loro mentalità rigida e omogeinizzata.
Comunque non pretendo per questo di dedurre una tendenza generale delle scuole CAI…ma nemmeno sulla Gerva, a dire il vero!
Il discorso è incentrato in particolare sugli istruttori titolati, perché sono essi che vanno prima ai corsi/esami e poi agli aggiornamenti e, tornando nelle rispettive scuole, portano i messaggi anche per gli istruttori sezionali. Per considerazioni più generali, su cosa sia più fondato e cosa prevarrà, vale il contenuto del 207 cui rinvio. Se mi guardo intorno nella realtà in cui opero strutturalmente, non sono una mosca bianca, ma la mentalità è sostanzialmente quella che descrivo. Non solo nella scuola cui appartengo, ma anche in quelle limitrofe. Conosco a fondo anche l’altra scuola di scialpinismo torinese, perché mia moglie ne fa parte da sempre e io ho fatto l’istruttore anche lì. E la mentalità è rigida anche lì. Inoltre bazzico spesso per altre scuole del circondario, mi capita di tenere lezioni teoriche o conferenze per gli allievi o di esser ospite di giornata sul terreno. Anche lì stessa mentalità. I nostri rappresentanti presso gli organi centrali non hanno certo una mentalità completamente opposta alla mia. O il nord ovest vive una realtà separata o c’è qualcos’altro che non torna.
La rotazione degli allievi fra gli istruttori è un fattore positivo, ma deve rimanere entro range fisiologici. Qui stiamo parlando di visioni ideologiche opposte. Come possono uscire allievi, tutti all’incirca in un “certo”” modo, se ci sono proposte ideologiche antitetiche? Inoltre, ribadisco: come può esistere un modello omogeneo a livello nazionale, se c’è una dispersione così ampia sul piano ideologico? Oltretutto non può capitare, all’atto pratico, che lo stesso allievo si “giri” tutti i 10.000 istruttori italiani, ma per forza di cose capita che (per questioni geografiche) gli allievi al massimo “girano” tutti gli istruttori di una SOLA scuola. Il punto è che stanno emergendo profonde differenze ideologiche fra scuole e scuole. Per es, io ho impressione che nella scuola di Benassi all’incirca anche i suoi colleghi abbiano la sua mentalità (molto diversa da quella della nostra scuola). Ne deriva che allievi che seguono corsi CAI, ma presso scuole diverse, rischiano di venir fuori con mentalità molto diverse, addirittura opposte. Questo non “quadra” a livello complessivo… Fare tutto questo sforzo di omogeneizzazione e poi continuare ad avere un sistema spezzettato in una miriade di scuole con “mentalità” diversa… non vedo dove stia l’omogeneizzazione del messaggio didattico e del modello didattico.
Nota: chi non è interessato al dibattito, basta che non legga. Se continuate a autopunirvi, non protestate.
“parlo proprio di “allineamento ideologico” che è una cosa che sta a monte di quello tecnico-metodologico. …
Per poter dare agli allievi la stessa forma mentis, non possiamo che essere allineati sul piano ideologico, sennò, ripeto,…”
allineamento ideologico di cui non c’è la minima traccia nelle Linee-guida-Istruttore-Sezionale-CNSASA del 2018.
Per cui, parla pure di ciò che vuoi, ma sii conscio che sono solo tue fisse, non tendenza generale e tantomeno legge universale a cui adeguarsi.
Invece è proprio qui che è giusto, istruttivo e allarga la mente. Rotazione dell’allievo con i vari istruttori durante il corso. Istruttori che hanno tutti una linea su piano didattico tecnico delle manovre, ma una visione filosofica non completamente uguale. In modo che l’allievo possa vivere e valutare le differenze di mentalità, proprio perchè non c’è un modo unico di praticare l’alpinismo e la montagna in genere. Le differenze sono un pregio non un difetto, questo in tutti gli aspetti della vita.
Come si dice qui da noi : se fussimo tutti uguali, sarebbimo anco toghi.
In poche parole sei un tagliatore di teste, uno di quelli dal lincenziamento facile.
Naturalmente dei poveracci sacrificabili, dei più deboli.
Per allinearmi con te sul piano ideologico, dovrei proprio dare fuori di testa.
In alpinismo lo sfinimento porta alla morte.
Qui, a un estremo rompimento di coglioni.
Non è una bella caratteristica! C’è poco da vantarsene.
Matteo. No no, è quello il punto chiave che VOI continuate a non capire: parlo proprio di “allineamento ideologico” che è una cosa che sta a monte di quello tecnico-metodologico. Infatti è inutile che spigoliamo sui dettagli tecnici, spaccando il capello in 16 sulle singole manovre (“tuti il nodino a destra” oppure “tutti il nodino a sinistra”), se poi non diamo la stessa IDENTICA forma mentis agli allievi. Per poter dare agli allievi la stessa forma mentis, non possiamo che essere allineati sul piano ideologico, sennò, ripeto, un allievo si sente dire una domenica “autodisciplina” e la domenica dopo, da un altro istruttore, “spingere”. Non può funzionare un sistema così. Cmq, perché ve la prendete tanto? Se avete ragione voi, l’evoluzione dimostrerà che le mie sono solo paranoie. Se invece ho ragione io, il sistema (e non io) porrà in automatico le questioni.
Bertoncelli. Non ho sbagliato mestiere. Svolgo la professione più azzeccata con le mie caratteristiche. Io sono sostanzialmente un “negoziatore” (di compravendite aziendali, di trattative sindacali, di ristrutturazioni dell’organico, di contenziosi industriali…). Lo faccio su mandato dei clienti e in genere raggiungo gli obiettivi del confronto, quanto meno su diversi punti, e tutto ciò proprio per “sfinimento” delle controparti. D’altra parte opero così ormai da quasi 40 anni…
Carlo, tu hai sbagliato lavoro. Il tuo destino era l’avvocatura.
Avresti vinto tutte le cause, per sfinimento. Sfinimento della controparte, sfinimento del giudice, sfinimento della corte, sfinimento del pubblico, e financo sfinimento delle guardie e degli uscieri. Nei giorni delle udienze in cui avresti dovuto sfoggiare la tua oratoria ci sarebbe stato un fuggi fuggi.
Oppure il giudice, conoscendoti, ti avrebbe espulso dall’aula ancor prima che aprissi bocca.
Dice il saggio: “Col Crovella beati i sordi”.
Secondo me, come spesso ti capita, fai una discreta confusione con i termini usando “allineamento ideologico” per intendere “allineamento tecnico e metodologico” dell’insegnamento e da questo errore arrivi a conclusioni campate per aria con riferimenti tutti tuoi su autodisciplina, liberi tutti e libertarismo
Un punto chiave continua a sfuggire: il mondo didattico del CAI non è la sommatoria disomogenea di tante preferenze individuali, per cui c’è un istruttore “rigido” e un altro che “spinge”. Se così fosse, verrebbe meno il principio dell’omogeneizzazione didattica nazionale, cosa che presuppone in primis l’allineamento ideologico. Sono stupito che tale impostazioni non sia nota e condivisa. Forse, centralmente, si preferisce procedere morbidamente e non si fanno polemiche con gli istruttori in carica, tanto il tutto maturerà con i vari ricambi generazionali. Se volete far proseguire le vs scuole, prima o poi dovete mandare i vs giovani agli esami per titolati. Non conosco tutti e 50 i componenti della Scuola Centrale, ma alcuni sì, che però occupano ruoli chiave in SC. E posso dire che sono ancora più rigidi e inflessibili di me su questi punti. Se formate i vs giovani con mentalità non conforme a quella decisa centralmente, i vs giovani rischiano di andare agli esami e dire delle cose che… non li fanno partire col piede giusto. Nella Scuola (dove sono inserito), che fa dell’inflessibilità e dell’autodisciplina la sua connotazione didattica fin dalla fondazione (73 anni fa), i giovani istruttori li formiamo secondo quanto sto dicendo. Eppure ciò non impedisce che possano crescere assai sul piano tecnico individuale (anche alpinistico), come dimostra il fatto che uno è stato accettato nel progetto EAGLE TEAM.
L’istruttore CAI non è un qualsiasi insegnante…Tutti devono dire le stesse cose, a cominciare dai punti ideologici.
Dire “io sono prima alpinistica e poi istruttore” è storicamente datato
A me pare proprio che oggi si dica: “una volta istruttore, lo sei sempre, sia nelle uscite ufficiali che in quelle private”.
Libertà individuale? Ma dove? Se ammetti margini di libertà, addio unico messaggio didattico!
Crovella, non sei mai stato bravo ad arrampicare…particolarmente sui vetri!
Lo stridore di unghie si senta da qui.
A me pare invece che siate voi a non aver letto attentamente i miei contributi. Non ha MAI scritto che l’istruttore deve annullare la sua attività privata, anzi. Ho scritto che NON deve essere quest’ultima la sua variabile dominante rispetto al norme che definiscono il ruolo dell’istruttore: quindi domina il suo status di istruttore anche nella sua attività privata. Anche nell’attività privata va espresso un modus operandi che deve essere coerente con il principio cardine di ciò che si insegna, cioè l’autodisciplina. altrimenti si predica bene e si razzola male e il messaggio offerto agli allievi rischia di essere contraddittorio o quanto meno nebuloso. Questo “messaggio didattico” è quello omogeneo del CAI, non il messaggio didattico di Tizio o di Caio o di Sempronio.
P.S.: sono proprio curioso di vedere cosa scriverà nell’articolo che mette in lista di scrivere!