L’organizzazione del modello didattico CAI

L’autore è convinto che i detrattori dell’impostazione centralizzata dell’insegnamento non apprezzeranno minimamente la sua fatica e, anzi, lo accuseranno di essere il portavoce della visione istituzionale che stronca la libertà individuale. 

Crovella è infatti sicuro che il modello didattico centralizzato del CAI sia “quello lì”, che piaccia o meno. E sia così da circa 25 anni (anche se il trend era già iniziato in precedenza): la pagina istituzionale della CNSASA, che egli ha copiato papale papale, sembra chiarirlo bene.

Il lettore, in base alle sue esperienze, dopo la lettura di questo articolo avrà modo di riflettere parecchio su libertà in montagna e modello didattico centralizzato.

L’organizzazione del modello didattico CAI
(finalità, struttura, controlli)
di Carlo Crovella

C’è un equivoco molto profondo sul tema “libertà in montagna vs modello didattico centralizzato del CAI“.

L’equivoco sta nel fatto che si ritiene che, a maggior ragione per una associazione “no profit” come è il CAI, ciascun socio sia legittimato a perseguire obiettivi consoni con la propria visione. Principio valido in sé, se ragioniamo a titolo di scelte personali nell’attività individuale, ma non coerente con l’architettura in essere del modello didattico del CAI.

Foto: Riky Felderer.

Va precisato che l’organizzazione del modello didattico non è la sommatoria delle nozioni insegnate: queste ultime compongono, insieme alla forma mentis con la quale si approccia la montagna, il “messaggio didattico” che il CAI trasmette agli allievi delle Scuole CAI. Per cui “organizzazione del modello didattico” e “messaggio didattico” sono due concetti diversi. Tuttavia il messaggio didattico del CAI è veicolato all’interno di una ben precisa organizzazione istituzionale: è quest’ultima l’oggetto dell’articolo.

L’organizzazione del modello didattico del CAI (d’ora in avanti, per semplicità, “il modello didattico del CAI”) non è un meccanismo aperto a ogni tipo di contributo individuale, in funzione della mentalità di ciascuno, ma è ormai codificato in modo particolareggiato e centralizzato. Il fenomeno è partito decenni fa, ma si è completato a fine anni Novanta con la fusione fra le due precedenti Commissioni CAI (quella delle Scuole di alpinismo e quella delle Scuole di scialpinismo), che hanno formato la CNSASA (Commissione Scuole di Alpinismo e Scialpinismo). Tale fusione ha suggellato il governo centralizzato del modello didattico del CAI e a ciò è preposta la CNSASA, affiancata dalla Scuola Centrale. Le autorità centrali operano anche attraverso le Commissioni competenti localmente (che agiscono a livello regionale o macro regionale, con accorpamento di due o tre regioni), a loro volta affiancate dalle rispettive Suole regionali. Nel gergo burocratico le Commissioni territoriali sono chiamate O.T.T.O. (acronimo di Organi Tecnici Territoriali Operativi).

La centralizzazione è finalizzata a elaborare e diffondere un UNICO modello didattico che sia omogeneo su tutto il territorio nazionale, in modo tale che possano ricevere lo stesso messaggio didattico tanto l’allievo di una scuola CAI di Bressanone quanto l’allievo di una scuola CAI di Palermo.

Infatti la fusione in un’unica Commissione Centrale comporta anche la fusione dei programmi didattici, che non sono più separati fra scuole di alpinismo e scuole di scialpinismo (o di altre discipline), ma sono uguali per tutte le scuole CAI di tutte le discipline. Questo vale per le singole nozioni tecniche (es: si insegna a legarsi nello stesso modo, sia agli allievi dei corsi di alpinismo/arrampicata che a quelli di scialpinismo), ma vale anche per l’obiettivo strategico della didattica.

Obiettivo strategico che non è fornire banalmente una sommatoria indistinta e slegata di nozioni tecniche, ma inserirle in un quadro ideologico e metodologico, per cui agli allievi si insegna una precisa forma mentis, cioè un ben determinato approccio all’andar in montagna, approccio di cui le nozioni tecniche non sono che le mere applicazioni pratiche.

Credo sia ormai inevitabile chiarire una volta per tutte il principio del governo centralizzato del modello didattico del CAI, sennò si porta avanti un dialogo fra sordi. Infatti chi crede nella “montagna, regno della libertà”, pensa (magari in buona fede, per carità…) che diffondere quel principio sia (o possa anche essere) l’obiettivo strategico del modello didattico del CAI. Peccato che il modello è impostato in un altro modo e che sia stato codificato nero su bianco da circa 25 anni…

Nessuno, in ambito CAI, vuole stroncare la propensione alla ricerca della libertà in montagna, ma bisogna sottolineare che questo concetto non è il messaggio (per gli allievi) previsto del modello didattico del CAI. In parole semplici: le scuole CAI e (a titolo individuale) anche ciascun istruttore del CAI non possono né devono “spingere” alcun individuo all’attività in montagna, specie se su livelli impegnativi e/o rischiosi, ma solo fornire la forma mentis (e le connesse nozioni tecniche) per approcciare la montagna in modo “maturo, consapevole e prudenziale“.

Poi, fra gli allievi, ciascuno prenderà la sua strada: chi ha talento e motivazioni esistenziali di un certo tipo, si muoverà in verso gli “alti” gradi; chi invece ha una mentalità da “quartogradista” (banalizzo, per farmi capire), può rimanere serenamente sul IV grado. Non è compito delle Scuole CAI “spingere” verso l’alto (in termini di impegno tecnico e atletico), ma diffondere un approccio consapevole e prudente alla montagna.

Io sostengo addirittura che il tema della “libertà in montagna” (tema che inevitabilmente viene strumentalizzato per giustificare la spinta verso un coinvolgimento individuale su livelli “impegnativi”) non sia un valore istituzionale del CAI in quanto associazione (di ciò parlerò successivamente), ma sicuramente esso non è l’obiettivo istituzionale del modello didattico del CAI.

Giusto o sbagliato che sia, è così. Ed è così ormai da tempo, per cui non riesco a comprendere come possa persistere, fra istruttori CAI in attività, l’equivoco descritto più sopra. Il fatto che svolgiamo il compito didattico in un regime di volontariato non legittima la libertà individuale in campo didattico. Le regole sono regole e vanno rispettate anche in un sistema che si regge sul volontariato. Chi non gradisce il modello centralizzato della didattica CAI, deve chiarire a se stesso questo profondo equivoco: la soluzione non è stare nel modello didattico del CAI, salvo muoversi in modo non coerente con i suoi parametri statuiti, bensì eventualmente uscirne e prendere la propria strada.

Credo che tutto questo vada chiarito una volta per tutte, pena il procrastinare dell’equivoco e quindi del dialogo fra sordi.

Per comprendere al di là di ogni ragionevole dubbio l’impostazione del modello didattico del CAI, non c’è niente di più azzeccato che fare “copia e incolla” dalla pagina istituzionale della CNSASA (pagina presente sul sito ufficiale del CAI):

Secondo i dati relativi al 31 dicembre 2022, in Italia svolgono regolare attività 207 Scuole ed operano 879 Istruttori Nazionali, 2.302 Istruttori Regionali e 3.833 Istruttori Sezionali.

La tipologia dei Corsi Sezionali proposti è piuttosto ampia: tre livelli di scialpinismo e due di snowboard alpinismo, due livelli di arrampicata libera, sette corsi tra alpinismo, neve e ghiaccio (alta montagna), tre livelli di sci escursionismo. Sono stati aggiunti di recente due Corsi monotematici: il primo di discesa propedeutico per lo scialpinismo, il secondo per l’autosoccorso di base in ambiente innevato con utilizzo di ARTVA, pala e sonda (tanto per rimanere collegati al tema del recente articolo sullo scavo in valanga, NdR).

Fin qui ho fatto un semplice “copia e incolla” dalla pagina istituzionale della CNSASA: non ho aggiunto né tolto alcunché, ho però evidenziato alcuni punti che reputo di particolare importanza.

Mi rivolgo a chi continua a rimanere in un imperdonabile equivoco ideologico: il modello didattico del CAI è oggi molto chiaro, è scritto letteralmente “nero su bianco”, non è suscettibile di interpretazioni né si presta a esser “piegato” dai singoli in funzione delle preferenze di ciascuno.

Alcune considerazioni. La prima: la “libertà” in montagna” non è una finalità didattica del modello del CAI, infatti non c’è traccia di tale obiettivo in nessun documento didattico. Ribadisco che può essere un obiettivo individuale, ma ciascuno lo deve perseguire solo nella sua attività alpinistica privata e non per imprinting istituzionale, né tanto meno didattico.

In particolare sottolineo il principio (punto 1 e punto 5 dei compiti della CNSASA) per cui la CNSASA (anche attraverso gli organi regionali) controlla sia le Scuole sia i singoli istruttori, per cui non si può pensare di agire e/o diffondere ideologie significativamente difformi dall’obiettivo strategico del modello stesso. È il “prezzo” che si paga per avere un modello omogeneo su tutto il territorio nazionale: se si accettano scantonamenti individuali (o, peggio ancora, a livello di Scuole), si perde l’integrità del messaggio didattico rivolto agli allievi.

Addirittura (punto 6) è esplicitamente previsto che la CNSASA indirizzi tecnicamente e moralmente le attività delle proprie Scuole, delle Sezioni e dei singoli Soci. Quando dico che tutti i soci CAI devono esser coerenti con il “messaggio CAI” (di approccio maturo, consapevole e prudenziale alla montagna) faccio riferimento a un principio già codificato da tempo. Questo punto è strumentale per ulteriori considerazioni che elaborerò in seguito e che riguardano più il CAI come istituzione che l’area CAI che si occupa della didattica.

Torniamo in modo specifico sull’area operativa della didattica CAI, che è indiscutibilmente articolata su precisi livelli gerarchici. Al vertice troviamo la CNSASA, che coordina e controlla gli OTTO, i quali coordinano e controllano le Scuole della loro area territoriale. Il controllo delle Scuole da parte degli OTTO è sia preventivo (ciascuna scuola deve presentare il programma dell’attività che vuole svolgere, l’OTTO verifica e autorizza solo con esplicito nulla osta) sia consuntivo (relazione di fine corso presentata dalla scuola all’OTTO). Superfluo sottolineare che i controlli, sia preventivi che consuntivi, sono improntati a verificare che l’attività didattica di ogni Scuola sia coerente con il programma centralizzato valido a livello nazionale.

Dagli anni Novanta la carica di Direttore di scuola non può che esser ricoperta da un Istruttore Nazionale (INA, INSA, INAL ecc), cosiddetto titolato di II livello, e quella di Direttore di corso almeno da un Istruttore di I livello (IA, ISA, IAL ecc). Questo sia per questioni di responsabilità/sicurezza sia per avere, nei posti chiave delle scuole, personaggi che si riconoscono nella filosofia del modello didattico del CAI. Di conseguenza ogni Scuola coordina e “controlla” i propri istruttori. Il ruolo degli istruttori è fondamentale: essi (con i loro diversi titoli) sono l’ultimo anello della catena di trasmissione del messaggio didattico dalla CNSA agli allievi. Affinché tale messaggio didattico arrivi inalterato dalla CNSASA fino ad ogni singolo allievo, occorre che ogni singolo istruttore sia coerente con i paradigmi del modello didattico, altrimenti qualcosa viene comunicato “male” agli allievi.

La catena gerarchica (CNSASA-OTTO-Direttori di Scuola-Istruttori) funziona in una doppia modalità: serve per formare e aggiornare gli istruttori, ma serve anche per il loro controllo. Questo concetto va inteso alleggerendolo da ogni velleità dittatoriale, ma – come spiegato sopra – è un principio necessario per la corretta formazione dei tutti gli allievi. Istruttori che, anche in perfetta buona fede, diffondano principi ideologici o nozioni tecniche non conformi con il paradigma centrale del modello didattico, creano confusione se non addirittura errori nella testa degli allievi.

Pertanto è fisiologico che gli istruttori debbano essere allineati al modello centralizzato e, di conseguenza, siano periodicamente aggiornati e in qualche modo “controllati”.

Se non si condivide il modello didattico del CAI, la soluzione più appropriata è quella di uscirne totalmente e farsi un “propria” scuola, fuori dal CAI. Non si può stare “dentro” al modello didattico del CAI, in quanto istruttori CAI “attivi”, e poi pensare in difformità o addirittura in contrasto con le direttive centralizzate della CNSASA, anche solo su alcuni punti (che, se ideologici, sono in genere di primaria importanza): o si sta dentro fino in fondo al modello didattico del CAI o si sta completamente fuori da tale modello.

L’alternativa è costituire una ASD ai sensi della recente legge “sportiva”. Chiarisco un punto collaterale, ma importante. Io non contesto queste ASD in quanto tali, invece contesto che i loro tecnici si possano far pagare (perché entrano in conflitto con le GA, ma è un altro paio di maniche). Le ASD possono liberamente agire in alternativa al CAI, purché operino esclusivamente in ambito volontaristico (accompagnatori/formatori che si prestano gratis). Per cui: trovatevi altri compari, che condividano le “vostre” idee (cioè diverse da quelle del modello didattico CAI), e costituite una o più ASD con finalità didattica. Così potete diffondere l’ideologia che ritenete più opportuna, anche in antitesi a quella del modello didattico CAI.

Invece tale comportamento non si può fare all’interno del modello CAI, che è governato centralmente, con norme ben chiare e assodate, e ormai da 25 anni circa. Sinceramente sono perplesso che sia ancora necessario dover spiegare per filo e per segno tutto questo a chi è, oggi, iscritto negli elenchi degli istruttori CAI “in attività”. Prima di impegnarsi (o di rinnovare il proprio impegno) nella formazione degli allievi in ambito CAI, è necessario conoscere a fondo l’architettura strategia in cui si opera, altrimenti si rischia di muoversi in modo asincrono con il paradigma generale.

L’organizzazione del modello didattico del CAI: due corollari
La descrizione del modello didattico del CAI lascia spazio a due corollari, che abbracciano considerazioni più estese rispetto all’attività didattica in senso stretto ma che, proprio per questo, richiedono puntualizzazioni molto precise.

Per sostenere la tesi (antitetica alla mia) che il CAI deve/possa comprendere anche l’attività volta a “spingere” i suoi soci verso un alpinismo impegnato e impegnativo, si cita l’EAGLE TEAM di recente costituzione. Anche in tal caso, si fa un bel minestrone. L’EAGLE TEAM non fa parte del modello didattico centralizzato del CAI, ma è una divisione a se stante. Personalmente plaudo all’iniziativa, perché effettivamente colma una lacuna nell’architettura generale del CAI, almeno degli ultimi decenni.

Volendo mettere i puntini sulle “i”, io avrei inserito l’EAGLE TEAM nell’alveo istituzionale del CAAI (mantenendo intatto tutto il resto del progetto), perché le affinità ideologiche sono maggiori con tale istituzione. Probabilmente solo considerazioni di natura finanziaria hanno fatto preferire l’inserimento dell’EAGLE TEAM in ambito CAI (e non CAAI), ma io sono abbastanza convinto che, quando tale iniziativa sarà consolidata e saprà riproporsi ciclicamente in modo autonomo, è possibile che sia strutturalmente spostata nel CAAI.

Ma il punto cardine, che rileva sul tema del modello didattico, è un altro. All’EAGLE TEAM non viene accettato qualsiasi socio CAI (a differenza delle Scuole CAI), perché l’EAGLE TEAM è “riservato” a giovani talentuosi e già formati, che vogliano intraprendere un determinato percorso “impegnato e impegnativo” (tra l’altro vi è anche una selezione sul terreno prima di confermare l’iscrizione). In ogni caso anche nel percorso di maturazione personale proposto dall’EAGLE TEAM, percorso che non è quello offerto dalle normali Scuole del CAI, non credo proprio che si concretizzino comportamenti figli delle più ampia libertà individuale, ma sicuramente si seguono i consueti canoni di “maturità, consapevolezza e prudenza” tipici del sodalizio. La differenza far EAGLE TEAM e le Scuole del CAI consiste nel livello tecnico degli itinerari o nella partecipazione a spedizioni extra europee, ma non certo nel modo di ragionare a livello ideologico o di comportarsi sul terreno.

Andando oltre il modello didattico del CAI si abbraccia invece il CAI in quanto tale, cioè il sodalizio nella sua complessità. Tutta la parte emotiva dell’andar in montagna, come (a puro titolo di esempio) “… camminare sul filo di una cresta sopra all’abisso fino ad arrivare in vetta e dominare i pericoli e difficoltà: questa è la nostra metà. E osarlo è la nostra libertà (Kurt Diemberger)”, ebbene tutto ciò è ammirevole e rispettabilissimo come scelta individuale, ma non rientra nell’oggetto istituzionale del CAI. Qui, ripeto, mi riferisco proprio al CAI come istituzione complessiva e non solo al modello didattico del CAI (modello che però è parte integrante del CAI).

Io sostengo che tutto ciò sia così fin dall’inizio del CAI. Infatti l’articolo 1 dello Statuto, vergato da Quintino Sella in persona, afferma: “Il Club Alpino Italiano (C.A.I.), fondato in Torino nell’anno 1863 per iniziativa di Quintino Sella, libera associazione nazionale, ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale”.

Quindi fin dall’origine non si parla né di “libertà”, né di “osare”, né di “attività impegnata/impegnativa”. Forse, nei decenni passati, questi concetti potevano anche trovare agevole ospitalità fra i soci (ma mai come obiettivi istituzionali), tuttavia la più recente evoluzione del settore ha chiarito le cose in modo inequivocabile, come dimostra il descritto elenco delle finalità della CNSASA.

Se nella definizione “… alpinismo in ogni sua manifestazione”, qualcuno vuol far rientrare anche l’alpinismo di vertice, ebbene io, in prima battuta, sostengo che non è quella l’interpretazione più adeguata della definizione. Ma in ogni caso la presunta lacuna è stata colmata dall’EAGLE TEAM. Tuttavia il CAI in quanto tale non è un’associazione che abbia come unico e principale obiettivo l’alpinismo di vertice e la sua diffusione.

Ancora: a chi obietta che l’ideologia di Quintino Sella è obsoleta (160 anni fa), rispondo che se fosse davvero concreta l’esigenza della maggioranza dei soci di cambiarla, si sarebbe provveduto da tempo a modificare l’articolo 1 dello Statuto in sede di apposita assemblea straordinaria. Nella quale si deve concretizzare una adeguata maggioranza di voti affinché la proposta (che, ad oggi, a me non risulta mai neppure presentata) di modifica dell’articolo 1 dello statuto e/o di diversa interpretazione della sua formulazione venga effettuata.

Pertanto chi sente in sé altre motivazioni e altre emozioni collegate all’andar in montagna, fa benissimo a coltivarle, ma deve farlo a titolo strettamente personale senza pensare di farlo istituzionalmente in ambito CAI e, a maggior ragione, all’interno del modello didattico del CAI.

Questo perchè il modello didattico del CAI è perfettamente coerente con la natura stessa del CAI e anzi io auspico che la natura stessa del CAI, come sodalizio in generale, si evolva maggiormente verso la finalità istituzionale della formazione, per cui (nella via visione) CAI in generale e modello didattico del CAI dovrebbero convergere sempre più.

In conclusione: il CAI si preoccupa sostanzialmente di sviluppare quella parte dell’andar in montagna che coinvolge la stragrande maggioranza dei praticanti (quelli di livello “medio” e che vanno in montagna alla domenica) e lo fa soprattutto attraverso l’attività formativa del suo modello didattico. Le singole Scuole (che siano di alpinismo, di scialpinismo, di arrampicata, non importa) non sono altro che le entità “locali” per la diffusione capillare del “modo” di andar in montagna del CAI, cioè (a mio parere) per la diffusione dell’essenza stessa del CAI nel suo complesso.

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L’organizzazione del modello didattico CAI ultima modifica: 2024-05-01T05:08:00+02:00 da GognaBlog

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72 pensieri su “L’organizzazione del modello didattico CAI”

  1. L’iniziativa Eagle Team mi sembra una delle migliori che il Cai abbia partorito negli ultimi 50 anni. Durante la presidenza di Annibale Salsa mi ero fatto avanti con un un’idea simile ma forse i tempi non erano ancora maturi.
    Il responsabile del progetto Matteo Della Bordella è un ottimo tutor e alpinista fuoriclasse proprio perché slegato dal modello che Crovella sbandiera come l’unico possibile da Ragusa al Brennero. 
    Ma vi immaginate se a capo dell’Eagle team ci fosse un similcrovella? 
    D’accordo che l’istruttore Cai non ha lo scopo di formare la formula uno dell’alpinismo ma quello di creare tanti soci Aci, ma in montagna occorrono anche fantasia e creatività perché la natura è mutevole e, in buona parte imprevedibile.
    E poi ci vuole anche culo, come dice Ravaschietto citando Paleari, e quello si aiuta con l’elasticità mentale e lo spirito di adattamento. Poi se uno ha sfiga sempre,  un po’ se la procura. Visto coi miei occhi, ma bisogna andarci molte volte su per i monti.

  2. Emanuele, ti ringrazio per i complimenti forse esagerati e immeritato, ma il mio commento 56 era ironico e voleva smontare tutta questa rigidità e forma di cui parla l’articolo. 
    Battimelli, istruttore e direttore di una scuola, nonché docente universitario, si è divertito a sdrammatizzare una situazione, travestendosi da super eroe, sicuramente auto-prendendosi in giro.
    L’alpinismo è un gioco. 
    Non mi è mai piaciuto chi si prende troppo sul serio perché si rende ottuso e ridicolo e, nel caso specifico, è difficile che sia un buon insegnante. 

  3. Marcello, leggo sempre i tuoi commenti e articoli (l’ultimo che hai scritto è da pelle d’oca come moltissimi altri), per non parlare poi della tua attività in montagna che nemmeno in cento vite potrei anche solo avvicinare, e sarebbe un onore venire in montagna con te per apprendere anche solo guardandoti allacciarti le scarpe.
    L’anonimato te lo spiego: faccio parte di una scuola e sto esprimendo, ed ho espresso in modo molto “cattivo” e diretto il mio dissenso al tuo commento n°56  in cui mi sono sentito offeso, non tanto io, quanto l’ultimo tentativo (giusto o sbagliato lo vedremo nel tempo) del CAI di far crescere un gruppo di giovani con l’Eagle Team. 
    Il rapporto tra scuole CAI e guide è ottimo nella vita reale ma ci si scontra quando se ne parla a tavolino. Lascerei questo equilibrio già labile così com’è, perchè alla fine tutti siamo ospiti dalla montagna e ne ricaviamo linfa vitale per guardare al futuro con ottimismo.
    un abbraccio, Emanuele Barsottini

  4. Non ho mai messo in dubbio la dedizione meritoria e la conseguente capacità degli istruttori Cai (lo sono stato anch’io) perché, nonostante quello che farnetica Crovella,  molto dipende da individuo a individuo. Fortunatamente!
    Anch’io ho avuto come maestri e amici agli inizi, degli istruttori Cai a cui sarò eternamente grato. Francesco Leardi, Daniele Demeneghi e Andrea Parodi su tutti. Già da ragazzino notavo in loro capacità diverse, sia tecniche che morali e di insegnamento ma soprattutto di coinvolgimento. 
    Succede anche tra le guide alpine, dove ho fatto l’istruttore ai corsi per 12 anni, che sono stati molto interessanti e proficui professionalmente e umanamente. La differenza è che gli allievi sono spesso alpinisti coi fiocchi. Tanto per dire mi sono ritrovato come allievi Pietro Dal Pra, Maurizio Zanolla, Tone Valeruz, Simone Moro…
    Concordo con Dino Marini che dice che dai corsi Cai escono molti che poi vanno con la guida. Mi è capitato di fare il cliente di guide laddove avevo poco tempo per farmi una sufficiente conoscenza dei luoghi ma mai l’ho considerato un disonore, anzi.

  5. Cominetti, tanto per smussare i toni, anche se non sono fatti miei, credo che Emanuele (che non conosco) ti abbia sbadatamente attribuito un commento di Bagnasco (i preti…)
    Dopodiché, sono del tutto solidale con quanto scrivi sulla professione. Io il mio stipendio ce l’avevo facendo il prof, e mi sono potuto concedere il lusso di fare l’istruttore volontario per il mio piacere. Sapendo benissimo, tra l’altro, che tra il mio livello di competenza e esperienza (la mia “professionalità”) e quello di una guida ci corre un abisso.

  6. Nel 65 manca un non; Perciò qualsiasi compenso materiale o morale NON può compensare

  7. Come non è facile raggiungere un livello tale da portare in sicurezza clienti su itinerari estremi o impegnativi, non è facile organizzare e condurre Corsi che devono avere contenuti adeguati e una didattica (lezione/esecuzione/controllo) che richiedono tempi e metodi specifici. Non giudico (sinceramente) perchè non conosco quelli di GA e ASD. Posso solo confermare l’enorme fatica che alla Struttura delle Scuole  e agli Istruttori costa l’organizzazioine, la cura e l’aggiornamento di istruttori e programmi; che poi lo facciamo ogni tanto lamentandoci ……. ci sta.

  8. Il compito delle Scuole non è portare in escursione i clienti, quello è compito delle GA per i motivi che Cominetti ha spiegato. Molti ex allievi, o praticanti, non potendo frequentare assiduamente o privi di “gruppo” spesso si affidano alle GA; ovviamente le GA devono farsi, correttamente retribuire anche perchè spesso organizzano splendidi viaggi/gite. Il patrimonio delle oltre 1.000 GA è un patrimonio prezioso per chiunque frequenti la montagna e sicuramente Scuole e GA sono, a mio avviso, assolutamente complementari. L’allievo medio delle scuole è normalmente un neofita quasi  privo di qualsiasi nozione alpinistica/arrampicatoria seria. Per portarlo ad un livello tale da consentirgli una facile  attività individuale occorrono almeno una quindicina di giornate/lezione al termine delle quali il singolo deciderà come e se continuare. Come già detto qualsiasi retribuzione economica o riconoscimento morale possono compensare il rischio personale, civile e penale di portare persone in modo organizzato in montagna.

  9. Marcello, chi lavora con clienti spesso li deve sopportare nel caso in cui costoro abbiano paturnie caratteriali (non considero l’incapacità tecnica o la scarsa resistenza, a cui le guide alpine rimediano scegliendo un’ascensione appropriata).
    Io però non sopporto le paturnie, le bizze, le pretese, le prepotenze, l’arroganza, la maleducazione.
     
    Hai la mia solidarietà.

  10. Io credo che il fatto di andare “autonomo” o meno non sia ( tanto ) una variabile dipendente dalla’ bonta’ e dal desiderio dell’istruttore / guida , ma che sia qualcosa che cova nel cuore/testa dell’allievo.
    .
    E la “testa” in alpinismo e’ una delle cose piu’ sfuggenti.

  11. Se costoro paganti non imparano abbastanza per andare in montagna da soli o con gli amici e tornano con la guida (spesso anche perché il tempo del loro compagno non coincide con il proprio e tutti vanno così di corsa che…), noi guide dovremo dirgli: eh no, io ti ho insegnato le cose, quindi arrangiati, vai da solo a fare la via attraverso il pesce, tanto se cadi sono tutti cazzi tuoi.
    Non accade così,  haimè, perché chi torna con la guida e paga, è sempre ben accetto. Orrore!!!
    Lo dichiaro a chiare lettere qui:
    IO NON SO COSA (E COME) FACCIANO I MIEI OLTRE 1000 COLLEGHI, MA IO, DA CHI MI PAGA PRETENDO CHE COSTUI ALLA FINE DELLA GIORNATA, SETTIMSNA, CORSO, ECC.  ABBIA IMPARATO QUALCOSA PERCHÉ I SUOI SOLDI SERVONO AL MIO SOSTENTAMENTO. SE NONOSTANTE I MIEI SFORZI UNO NON HA IMPARATO NULLA E TORNA DA ME COME CLIENTE, IO LO ACCOLGO E CI VADO A LAVORARE.
    MI DA MOLTA PIU SODDISFAZIONE, E MI SUCCEDE, QUANDO INCONTRO UN MIO VECCHIO ALLIEVO CHE VA IN MONTAGNA PER CONTO SUO. MA NEL LAVORO NON CI SONO SOLO SODDISFAZIONI MA ANCHE GIORNATE DURE E NOIOSE. LA PAGA È LA STESSA.
    E voi anonimi e non, come vi guadagnate la pagnotta? Tutti onesti, consapevoli e divertiti tutti i giorni, vero??

  12. Anonimo Emanuele, mi spieghi, di grazia, cosa direi sui preti?
     
    Ebbene sì. Le guide alpine portano (e istruiscono) le persone in montagna a pagamento. Con quei soldi ci sfamano i figli, li fanno studiare e pure divertire  se possibile, ci pagano l’auto, il mutuo e addirittura le vacanze! Per fare ciò compilano depliant, hanno siti internet, pagine fb e instagram (io no) e altri social che comunque richiedono tempo, dedizione e il metterci LA FACCIA. Che cosa brutta….
    L’istruttore volontario sceglie di fare una cosa simile ma aggratis. È volontario. Nessuno glielo impone ma tant’è appena può si lamenta. Invece di semmai smettere, si lamenta. Mah, vediamo un po’…
    Le oltre 1000 guide alpine italiane (eh si, diventare guida mica è facile e costa un casino di soldi, non siamo poi così numerosi) accalappiano sprovveduti per insegnargli ad andare in montagna, se già non lo sanno fare, in cambio di vil moneta. Cazzo!
    La stessa vil moneta che magari serve anche a te per vivere…o sei ricco e non ti serve lavorare, non so.
    Continua….
     

  13. @57/58/59
    .
    Tutto vero.
    .
    Io al Cai ho fatto solo l’SA1 , ma penso che i loro istruttori facciano a gratis un ottimo lavoro ad un prezzo inarrivabile.
    .
    Per quanto riguarda i “passeggeri” dei corsi non so cosa dire , ma per quanto riguarda il gruppetto dei miei amici il corso ci ha resi discretamente autonomi , credo anche con soddisfazione di chi ci ha instradato.

  14. La cosa più bella dei commenti del cominetti e di quello che dice dei preti, è che noi istruttori che siamo nelle scuole, che ci sbattiamo per organizzare le serate a gratis, le uscite a gratis, fare la stessa gita per la centesima volta.. e non vediamo l’ora che si formino nuove leve per lasciare il posto. E per partecipare ai corsi ci sono le liste di attesa, mentre in altri casi vedo pubblicità e spot per reclutare clienti da ogni dove. Mah… spero che siate riusciti a convincere i futuri allievi che il cai è male, malissimo. Io personalmente ve li mando gli allievi in esubero, ma dicono che non ricevono molti strumenti per andare da soli, piuttosto ricevono depliant ammalianti di gite a pagamento post-corso.

  15. Mi sento anche di ripetere che se il numero di incidenti è relativamente basso, in rapporto all’incremento di frequenza, è anche merito delle Scuole che diffondono a basso costo una cultura tecnica di fondo di approccio corretto a migliaia di persone ogni anno. Come in ogni ambito sarebbe corretto investire molte più risorse economiche nella prevenzione piuttosto che ora invece viene lasciata completamente a carico dei singoli istruttori e delle singole scuole. Considerato che moltissime scuole devono limitare il numero di allievi per la limitata disponibilità di istruttori occorrerebbe modificare qualcosa.

  16. Nel 50 Gianni ha espresso la situazione che, confermo, non è limitata alla Scuola di Roma. I corsi si sviluppano in base al livello degli allievi, dando loro una base tecnica più solida possibile compatibile con i tempi e le capacità di ciascuno. Il risultato è leggibile, nella stragrande maggioranza dei casi, negli occhi e nella gratitudine degli allievi durante e a fine corso, cosa che motiva quelli che come me fanno gli istruttori da molti anni. Ciò non toglie che esistano delle criticità soprattutto nel reclutamento e impegno degli Istruttori. La necessità di aggiornamento sempre più frequente, le opportunità di svolgere le stesse attività in modo retribuito presso le ASD costituiscono, attività lavorative sempre meno domestiche costituiscono un grande freno al rinnovo degli organici.

  17. Matteo, diciamo che potrei essere un vecchio scemo che non si tiene più (non che mi tenessi poi tanto anche quando ero più ggiovane); un cretino non tenente, ergo un cretino sergente.
     
    Però quel giorno alla Kosterlitz mi sono divertito… (faccina sorniona)

  18. “con la mia esperienza di oltre cinquant’anni come istruttore (pretino di città secondo gli uni, sergente Hartmann secondo gli altri)”
     
    Gianni ho un grave rovello: ricordandoti apparire in cima al masso Kosterliz con la maschera e il mantello da Batman per prendere per il culo i tentativi alla fessura dei sottostanti, non riesco a decidere se trovo meno aderente la figura del pretino o quella del sergente…
     
    🙂

  19. E abbiamo appena chiuso un corso in valle del Sarca (perché come noto siamo provinciali) dove gli allievi andavano da capocordata sul 6a/6b (1).

    Bagnasco, sinceramente come istruttore non mi sento un prete ne come socio non mi sento uno sfigato

  20. E abbiamo appena chiuso un corso in valle del Sarca (perché come noto siamo provinciali) dove gli allievi andavano da capocordata sul 6a/6b (1).

    Battimelli ma sei matto a mandare da primi gli allievi? 
    Questo è spingere. Pericolooooo
     

  21. Battimelli ha ragione : per quanto esista la figura del caiano sfigato , esiste anche altrove , e non mi sembra che l’approccio caiano , ceteris paribus , distrugga i talenti in erba.
    .
    Parliamo di PERSONE , molte anche con ottime capacita’ e cultura , che male si attagliano a questi giudizi.
     

  22. Francamente non saprei dire se sono più deprimenti le predicazioni alla Crovella o gli stereotipi alla Bagnasco, che si rimpallano (entusiasti gli uni, disgustati gli altri) un’immagine delle scuole del CAI che non ha alcun rapporto con la mia esperienza di oltre cinquant’anni come istruttore (pretino di città secondo gli uni, sergente Hartmann secondo gli altri). Forse Roma è un mondo parallelo a parte, ma non credo. E abbiamo appena chiuso un corso in valle del Sarca (perché come noto siamo provinciali) dove gli allievi andavano da capocordata sul 6a/6b (1). Ma fatela finita e datevi una guardata in giro senza pregiudizi, se possibile, al di là del circolo di sfigati che usate come riferimento per le vostre livorose generalizzazioni. Ma che due palle, ragazzi.
    (1) nota per i Crovella: trattasi di attività esplicitamente contemplata dalle normative della CNSASA per i corsi di arrampicata di secondo livello.

  23. Il CAI è come la chiesa. Colonizza a modo suo con la convinzione di essere nel giusto. Non si pone obiettivi di miglioramenti perché si sente già migliore. E come la chiesa si rivolge a quell’umanità sperduta e insicura che necessita di conforto.
     
    Gli istruttori sono come preti di città, alla ricerca di conferme personali e di pecorelle smarrite, le scuole sono come chiese che contano sull’ignoranza dei fedeli per fidelizzarli.
    È lo specchio di una società e dei suoi livelli di biecaggine.
     
    Come qui più volte rimarcato, diciamocelo chiaro: il socio CAI è un po’ lo sfigato della montagna.
    È raro che un vero appassionato indipendente e capace, si trovi bene nel CAI.
    Lo dico perché l’ho imparato sulla mia pelle tanti anni fa e rileggendo le parole di Crovella trovo conferma alle mie esperienze traumatiche avute in passato.
    Sono anch’io sabaudo, infine, ma proprio per quello non mi sognerei mai di sbandierarlo ai quattro venti adducendo a caratteristiche presenti solo nella fantasia dell’autore di questo scritto da psicopatici. 

  24. Se lo conosci, lo eviti (il CAI). Giro montagne da quasi 4 decenni in Europa, sono stato e sono socio di altri club alpini (DAV, AVS) e … meno male che il CAI lo trovi solo in Italia: c’è così tanta montagna CAI-free , e così tanti appassionati ignari dell’esistenza del CAI che auguro a tutti (coloro che se lo meritano) di giovare della Munifica Didattica Centralizzata. 
    PS: “… rischia di muoversi in modo asincrono con il paradigma generale.” e cambiare pusher no?

  25. Curiosa la critica alle ASD che grazie alla riforma del terzo settore possono normare i compensi dei loro tecnici, quando soprattutto parlando degli istruttori FASI formati negli ultimi anni, parliamo di tecnici qualificati per quanto riguarda tutta quella che è la preparazione sportiva, le scienze motorie, la pedagogia che di fatto il cai per statuto rifiuta, giustamente perché si occupa di un altro approccio alla montagna non sportivo.
    gli istruttori federali di una federazione del CONI giustamente vengono gli inquadrati e formati per fare un’attività che di fatto è prettamente sportiva e soprattutto parlando del fasce giovanili e della prima infanzia tratta argomenti di alfabetizzazione motoria di base importantissimi per la nostra società. A ognuno il suo, ben consapevoli che parlando di arrampicata si parla di un intreccio e di un’attività nella quale esistono molteplici sfumature e molteplici modi di praticarla, ma parlando prettamente di arrampicata sportiva preme far notare che è giusto che le ASD paghino i propri tecnici visto che siamo soggetti a una formazione continua in merito a argomenti di scienze motorie pedagogia non previsti (o di certo non in maniera così approfondita) nelle formazioni del cai che giustamente si occupa di altro,anche perché per molti di noi questo è un lavoro a tutti gli effetti, che richiede una disponibilità oraria soprattutto parlando di relazioni con le scuole che una persona che fa semplicemente volontariato non può fisicamente avere.  Suona come “fai come vuoi ma fai come dico io”

  26. Il CAI, data la sua struttura “volontaristica” non potrà mai uscire dal tunnel del burocratico.
    Nel mondo del volontariato occorrono norme ferree che contengano gli esuberi di “volonta”. Regolamenti di regolamenti che regolano regolamenti: solo questo può essere il contenitore di persone che spesso confondono volontà con arbitrio desiderio di apparire, di contare qualcosa in qualche posto.
    Basta vedere quante sezioni sottosezioni commissioni: tutti vogliono dire la loro, avere il loro spazio, esprimere la loro “volonta”, in fondo sono volontari.
    Un certo provincialismo vive nel CAI la sua rivincita sociale.

  27. mi trovo sulla linea di dm, ho operato per anni in una scuola ma il dirigismo centralizzato è sempre stato sopportato e compreso per quello che è “non si tengono insieme 200 scuole e 3000 istruttori (volontari)”.
    Detto questo il CAI ha perso l’occasione di costruire un modello centralizzato ma aperto che potesse essere di esempio e luogo di confronto con tutte le parti che frequentano, o già sono, in montagna. Un modello didattico di tipo universitario in cui le discipline non sono limitate alla didattica per i corsi, codificati in pagine di precetti e di obiettivi, la parola d’ordine è “saper fare”; quanto a una didattica modulare con programmi in continuo aggiornamento grazie al confronto con realtà esterne: le guide, le altre associazioni a livello europeo. Magari con programmi che vadano oltre il paranco e la calata.
    L’arroccamento proposto nell’intervento è un po’ da “vecchia scuola”, mi si passi il termine, e non fa che aumentare la percezione che il CAI sia un po’ un mastodonte arroccato sulle sue posizioni piuttosto che una realtà viva e aperta: lo si capisce da tanti commenti, a volte un po’ pesanti e scontati. Il CAI avrebbe potuto costruire un centro di eccellenza e, magari, col tempo, concorrere alla pari con altri (ENSA e ENSM in primis), spiace che abbia deciso che il modelo centralizzato con cablogramma è il modo migliore… di mantenere se stesso.

  28. Da Ina sino al 1992, devo dire che trovo aberrante qualcuno che indica come programma didattico la forgiatura di una forma mentis col bollino Cai. Nei corsi che ho tenuto per quasi 20 anni, l obiettivo è sempre stato la sicurezza , indipendentemente dal grado. Mi fa veramente paura l impostazione degli obiettivi Cai senza tenere conto delle realtà locali. Va sicuramente bene una base comune, ma non può e non deve essere una semplice procedura da seguire alla lettera. Ritengo poi giusto spronare i corsisti all ‘ esplorazione e alla frequentazione della montagna, altrimenti non capisco la differenza tra un corso Cai e uno di taglio e cucito.

  29. O voi che commentate ignari, sappiate che Carlo ora tace, ma sta prendendo nota dei nostri commenti.
    Poi ci risponderà con un bombardamento a tappeto, al cui confronto Crozza/Napalm 51 è una bagattella.

  30. Pierlorenzo, penso che lo abbiano capito da tempo molti di coloro che leggono (sempre meno) questo blog.
    scriverlo pero’…cosi’ poi, e’ tutt’altro che elegante.
    forse qualcuno (altolocato, visto il suo senso del dovere e la sua allergie alle critiche “dei pari”) dovrebbe fargli notare che la sua incontinenza verbale sta uccidendo questo spazio…servira’ ??
    se uno degli avventori del bar diventa troppo molesto, e con le buone non si calma…magari uno gli da’ un ceffone (virtuale), ma tutti gli altri, prima o poi, cambiano bar.

  31. Già la foto d’apertura dell’articolo (lezione collettiva con il casco in testa) dimostra quanto al CAI ne capiscano assai poco di alpinismo.
    Crovella, se vuoi andare sul serio in montagna lascia perdere il CAI! L’ho imparato proprio a Torino, la mia città. 

  32. In rete impostando come criterio di ricerca su google “cai, manuale, didattico, 1999” è reperibile un interessantissimo documento elaborato dal Cai con il coni.

  33. “A parte che non si capisce quale sia la “libertà” che tanto infastidisce l’autore”
    Ma come non si capisce? Tutte!
     
    Tranne, talora, se associate alla parola “casa delle…”, che per quanto pericolosi deviazionisti di sinistra possono talvolta essere accettati offrendo appoggio materiale e conoscenze utili.

  34. [omissis] l’articolo 1 dello Statuto, vergato da Quintino Sella in persona, afferma: “Il Club Alpino Italiano (C.A.I.), fondato in Torino nell’anno 1863 per iniziativa di Quintino Sella, libera associazione nazionale, ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale”.

    Quindi fin dall’origine non si parla né di “libertà”, né di “osare”, né di “attività impegnata/impegnativa”.

    A parte che non si capisce quale sia la “libertà” che tanto infastidisce l’autore dell’articolo, mi pare che il tentativo di usare l’art. 1 dello statuto del CAI per supportare le proprie personali opinioni sia un buco nell’acqua, in quanto trovo molto difficile (eufemismo) trovare un’espressione più neutra e libertaria di “alpinismo in ogni sua manifestazione”.
    Questo ovviamente non significa che, come correttamente e pacatamente detto da DM al #37, le scuole non debbano avere “una seria organizzazione che garantisca programmi e contenuti uniformi e controllati”.

  35. Ovviamente non tieni insieme 200 scuole e 3.000 istruttori senza una seria organizzazione che garantisca programmi e contenuti uniformi e controllati. Per il resto tranquillizzo gli aspiranti istruttori, considerato che sono uno di quelli che li esamina e aggiorna; NESSUN pensiero controllo. Ci capita di aggiornare e titolare chi ha fatto il  diedro Casarotto in solitaria e chi fa vie di quarto grado in cordata. E gli aggiornamenti sono ben accetti da tutti perchè sono aggiornamenti pensati e organizzati da gente che ne capisce partendo dal CSMT, Scuola Centrale e Scuole Interregionali. E’ poi ovvio che contenuti e tecniche trasmesse agli Allievi devono essere quelli certificati per sicurezza degli allievi e anche degli istruttori che in caso d’incidente devono dimostrare di aver agito secondo le migliori tecniche.

  36. @33
    Quanta acrimonia verso i caiani… 
    Aquilotti , stemmi , scialpinisti che non devono raggiungere i monti in pullman ma in bicicletta o sulle ali delle rondini , bambini esortati a perculare aquilotti , corsisti che “non sanno usare un arva e lo portano a passeggio”…
    .
    Mancano “legittimi” lazzi su abbigliamento , tecnica di salita e discesa e idoneita’ sessuale , e poi siamo a posto !
    .
    Immagino che le stesse persone , se solo fossero state impostate da un :”Poeta della montagna” raggiungerebbero le cime innevate in monopattino , e nel giro di una stagione diventerebbero Herman Buhl…

  37. “Pedagogia nera”, tale terminologia non si riferisce a una fede politica, una breve ricerca su internet aiuta a chiarire, si riferisce a determinati atteggiamenti adottati per “pestare”, “forgiare”, etc. termini evidentemente cari e spesso adottati dall’autore di questo post e in generale nei suoi commenti. “PN” è un testo che viene adottato per elencare esempi di come non si dovrebbe educare e come spesso si fa/faceva, con risultati ma non senza conseguenze. Non sono un esperto al riguardo, ma quando penso a quel titolo, oltre ad associarlo ad alcune frasi dell’autore, penso a quel compagno di esame, dato che l’autore esorta a parlare chi agli esami c’è andato, che per essere formato all’affilatura dei ramponi, punendolo, fu fatto scendere, da due consoci esaminatori, lungo un pendio, faccia a valle. Di esempi simili ne ho persino troppi.

  38. Le scuole CAI e (a titolo individuale) anche ciascun istruttore del CAI non possono né devono “spingere” alcun individuo all’attività in montagna
    Dopo aver letto questa frase ho strabuzzato gli occhi.
    Confermo quanto scritto già da altri: per esprimere i medesimi concetti e contenuti, che per buona parte non condivido, sarebbe bastato impiegare un decimo di quanto scritto. Oltre alle opinioni, trovo soprattutto argomentati molto male i concetti, per problemi legati alla forma. 
    Il problema non è l’omogeneità della didattica, che nelle basi considero anche io importante. E’ l’atteggiamento dell’autore che trovo intollerabile. Non unico tra le schiere Cai, sfortunatamente.

  39. Scuole o gite sociali, a volte ci si focalizza sulle norme e poi…
    Gennaio ‘24, Carbonin, -13°C, aspettavo arrivasse un po’ di sole per mettermi bimba in spalla e sci ai piedi verso il Rif. Vallandro. È arrivata comitiva CAI, da altra regione, gita in giornata con corriera, alla faccia del bidecalogo. Ritrovati al rifugio, uno con giacchetta rossa, aquilotto e targhetta “operatore” interrogava gli altri gitanti sulle cime circostanti… Davanti al Gran Mogol ho chiesto a mia figlia che verso facesse la quaglietta e lei, con mio sommo divertimento, due anni, ha iniziato a fare “co co co co co” muovendosi come John Travolta a San Remo.
    Scendendo con gli sci, reincontrati, fischiettavo, non “l’uselin de la comare”, tanto cara all’autore dell’articolo, altro motivetto, perdi farmi sentire dai gitanti, per quanto andassi piano.
    Venivo presto redarguito e riportato all’ordine dal loro “capobanda” (si riconosce perché ha lo zaino più grande degli altri) per non avere un apposito fischietto.
    Da finto tonto chiesi cosa fossero quelle “cose” mal appese ai loro zaini (pala e sonda).
    Recitarono a memoria che erano obbligatori in caso di pericolo valanghe…
    Chiesi se avessero fatto la prova Artva prima di partire. Non avevano nemmeno idea di cosa fosse o come utilizzare l’ARTVA ma APS obbligatori li avevano… Cai è Cai e come tale non si smentisce mai

  40. Il modello Cai è impraticabile perché se cadi da primo su una via di quarto in montagna, anche ben protetta, hai buone probabilità di ucciderti o di ritrovarti in sedia a rotelle.
    Quindi l’esistenza stessa delle scuole “spinge” l’allievo al rischio.
     
    Articolo utile solo a Crovella per sfogarsi.
    Dimostra quanto il Gognablog sia democratico. 

  41. Articolo logorroico che poteva essere ben più conciso. Ad ogni modo una associazione deve avere le sue regole e se non ti piacciono te ne vai oppure lavori per cambiarle e te ne assumi la responsabilità . Sul livello dei corsi ci sarebbe parecchio da discutere, fare una lezione imperniata sulla flora e fauna a un corso misto roccia – ghiaccio mi sembra comunque poco produttivo.

  42. Viva Carlo Possa!
    In anni lontani, pieni di poesia e di spirito libertario, il buon Carlo inventò la mitica “Pace con l’Alpe”. Gli atleti del decimo grado manco riescono a immaginare che cosa fu.

  43. L’articolo sembra un lungo discorso per criticare atteggiamenti di istruttori che all’autore non sono piaciuti, ma che non sono di fatto in chiaro contrasto con i regolamenti della scuola centrale sui corsi. Sembra anche accomunare libertà in montagna e difficoltà (?). 
    Per quel che riguarda l’uniformità la scuola centrale emana regole su come fare i corsi e sulle tecniche da insegnare che per forza le scuole seguono per restar dentro l’associazione (e per esser coperte da assicurazione), ma l’idea che debba esserci un’uniformità totale nelle idee che gli istruttori trasmettono agli allievi oltre che utopia è anche inquietante

  44. @ Alberto Besassi
    .
    Sono d’accordo : quella verso me stesso e’ una competizione che esiste sempre ed e’ meno nociva di quella istituzionalizzata.
    .
    Ricordo dei grandi come Castiglioni o Manolo che distinguevano quello che facevano per il piacere di arrampicare e quello che facevano “per ambizione”.
    .
    Penso che sia inevitabile essere in competizione con se stessi , e che la competizione con gli altri richieda un controllo mentale non comune.
    .
    Io non potrei mai giocare a tennis ad alto livello come fanno “mostri” come Sinner , che riescono a non farsi smontare dagli inconvenienti e dalle frustrazioni.

  45. “Ho fatto abbastanza anni di agonismo per riconoscere gli :”scemi con il pettorale” da lontano e scappare da loro”
     
    Se con “scemo con il pettorale” ti riferisci a me direi che di anni ne avrai anche fatti, ma confermi in pieno che i tuoi giudizi sono mooolto carenti.

  46. la competizione giusta o sbagliata che sia, opinione personale,  è anche verso te stesso. È quella che ti spinge a metterti in gioco per fare certe ascensioni . 

  47. @ 23
    .
    Ho fatto abbastanza anni di agonismo per riconoscere gli :”scemi con il pettorale” da lontano e scappare da loro.
    🙂

  48. #16 “un corso Cai deve aprire una porta …non essere un approccio/aspirazione ad un’attivita’ competitiva.”
    notevole come riesci ad andare fuori tema…e magari non deve nemmeno insegnare a fare torte al rabarbaro

  49. @20
    .
    Alberto Besassi
    .
    Ma che ci azzecca ??
    .
    Tu puoi fare competizione anche su chi ha il pene piu’ lungo o a chi pesca piu’ pesci , ma una associazione che ha come obbiettivo quello di darti degli strumenti per frequentare in modo consapevole la montagna spero sia un filo piu’ ambiziosa e sappia distinguere una giornata in ambiente da una gara podistica.
    .
    Se incominci a parlare solo di gradi e di chi e’ piu’ bravo instradi chi sta cominciando ad un mondo di merda pieno di “primedonne” che si presentano dicendo il grado che fanno ( magari sulla plastica ).
    Da quello che vedo nei social un bell’ambientino !

  50. Credo che il testo ed i commenti si muovano (si arrampichino) su un uso non corretto dei termini. Si parla di “modello didattico” quando si dovrebbe parlare di obiettivi educativi. Gi obiettivi educativi sono gerarchizzati e proposti, da chi insegna, mediante una offerta formativa che, per realizzarli, utilizza metodi didattici. E’, a mio parere, ovvio che l’obiettivo delle scuole CAI non sia la tecnica ma l’educazione. Altri soggetti formatori possono dare meno valore all’espetto educativo o adottare valori educativi diversi. Chi critica (magari a ragione) la burocratizzazione dei corsi ci dovrebbe dire anche come la pensa sugli otto quattromila in quattro giorni con incontro alla stazione di partenza della funivia. Perché credo sia innegabile che la popolazione fisicamente in grado di affrontare la montagna (a cominciare dall’escursionismo) sia molto più numerosa non solo di quella preparata mentalmente e culturalmente  ma anche di quella preparata tecnicamente

  51. non essere un approccio/aspirazione ad un’attivita’ competitiva.

    anche questo è un falso. in alpinismo la competizione e sempre esistita.

  52. Povera montagna! Soprattutto poveri montanari che non hanno nulla a che vedere con questa roba! Manca il respiro a leggere questo articolo e non si riesce ad arrivare in fondo
    firmato: una montanara d‘origine che ama la montagna, i montanari, esperta di didattica … 

  53. Ma , tanto per capire , parliamo di un’attivita’ specifica meno romantica ( e romanzata ) dell’alpinismo su roccia , parliamo di scialpinismo.
    .
    Una volta acuisita l’autonomia dai formatori , i due allievi Aldo e Bruno , uno “inquadrato” e l’altro “artistoide” in cosa differenzieranno le loro attivita’ sulla neve ?

  54. Poi non ci meravigliamo se il CAI diventa l’incrocio tra un circolo di pensionati e l’ oratorio dei preti, il cui motto sembra essere “saremo mica qui per divertirci”. 
    Fin qui la burocrazia inevitabile in ogni grande e anziana struttura. Ma l’ autore va oltre e ci mette una voglia di controllo che odora di polizia morale. 
    Non parlo da giovane irrequieto ma da socio quarantennale e accompagnatore titolato, al quale dispiace vedere il sodalizio affogare nello sterile rimpianto di un alpinismo che non c’è più (se mai c’è stato) o, peggio, nell’ inseguire un modello gerarchico fuori dalla storia.

  55. @ 10
    .
    Io penso che il livello ed il metodo vengano da se’ , un corso Cai deve aprire una porta su una bella attivita’ psicofisica praticata in ragionevole sicurezza , non essere un approccio/aspirazione ad un’attivita’ competitiva.

  56. Premessa: secondo me gli stessi concetti (per me in larga parte condivisibili) si potevano esprimere con un decimo delle battute utilizzate. Detto ciò parlare di CAI generalizzando, di fronte a un corpo docente composto da migliaia di persone, mi sembra totalmente fuori luogo. È sacrosanto che ci sia uniformità didattica, ma la differenza la fanno sempre le persone. 
    Ho iniziato 34 anni fa con un corso di roccia, ho trovato persone che mi hanno trasmesso competenze; la passione l’avevo di mio, la paura anche, la voglia di osare a momenti… 
    Diventato istruttore mi sono attenuto alle regole e ho trasmesso competenze e una certa mentalità. 
    Dopo 20 anni sono tornato corsista (di scialp) e ho trovato di nuovo un ambiente magnifico.
    Dai corsi a cui ho partecipato, sia da allievo che da istruttore, sono usciti ottimi arrampicatori, skialper e torrentisti con CV di tutto rispetto ed altrettanti onesti frequentatori della montagna. Ed ovviamente anche tanta gente che si è divertita solo per qualche stagione e poi ha mollato.
     Forse ci saranno istruttori pallosi, forse anche qualche cialtrone, ma sinceramente mi chiedo quale sarebbero i vantaggi di puntare a una sorta di anarchia didattica o di coltivare solo un alpinismo di élite.
    Chi è forte, chi “ha la testa” per puntare a grandi traguardi, emerge comunque, il CAI non preclude nulla a nessuno.

  57. “Obiettivo strategico che non è fornire banalmente una sommatoria indistinta e slegata di nozioni tecniche, ma inserirle in un quadro ideologico e metodologico, per cui agli allievi si insegna una precisa forma mentis, cioè un ben determinato approccio all’andar in montagna”
    Quello che non sta in piedi del Crovella-pensiero è tutto ciò che deriva dalla confusione esplicitata in questa frase.
     
    Insegnare secondo metodi che non siano “sommatorie non indistinte e slegate di nozioni tecniche” non significa insegnare una “forma mentis” e una metodologia  è cosa ben diversa da una ideologia (anche se può esserne figlia)
     
    Il voler dividere l’andare in montagna in due categorie contrapposte, un non ben definito “liberi tutti” e un metodo CAI e quindi in bene/male, buono/cattivo, mi pare frutto della sola mente dell’Autore per potersi definire paladino del bene e campione del buono
    Mi pare una sua ossessione, difficilmente riscontrabile nella totalità dei soci, vertici o peones che siano!

  58. L’importante è divertirsi in sicurezza senza perdere la voglia di “giocare” in qualsiasi ambiente  che uno frequenta tutto l’altro resto sono solo seghe mentali poi ogni testa è un piccolo mondo. Bisogna che ognuno non si faccia strumentalizzare da qualcun altro e viva il suo gioco, questo vale anche nella vita.

  59. Il CAI è ormai dagli anni 90 lontano anni luce dall’ insegnare a andare in montagna, i corsi sono corpulenti e, spesso noiosi, oggi gli Alpinisti che praticano mediamente la montagna, ( non quelli da gite sociali), sono atleticamente preparati, si sono formati sul campo spesso da soli,o con amici o Guide Alpine, e soprattutto hanno una visione della sicurezza e dell’ accettazione del rischio ben più alta. Se poi vogliamo continuare a pensare al 4 grado che, ormai è considerato escursionistico fate pure, ma io in falesia vedo ragazzi. e adulti che si scaldano sul 6a 6b, e che poi fanno in montagna gli stessi gradi. Oggi il livello è cresciuto e, di molto e il Cai è fermo agli anni 90 lo si voglia o no.  Lacci e lacciuoli , titolati e regolamenti non faranno mai crescere , ci vuole allenamento costante,ci vogliono allenamenti con metodo, bisogna allenare il cervello a risolvere situazioni spesso critiche e a osare con coscienza ma pur sempre osare. I più grandi alpinisti di tutti i tempi hanno scalato e, spesso iniziato a scalare in free solo, e da ragazzini. già facevano gradi e vie incredibili.  Il mondo è cambiato e l’ alpinismo anche , e non solo per i fuoriclasse.

  60. In un tempo non proprio lontanissimo sono stato direttore della scuola Interregionale LPV. Non entro nel merito di etica e di morale ma al netto delle esigenze delle scuole il corpo degli Istruttori titolati è tecnicamente competente e preparato. Detto questo sull’ uniformità didattica si è molto lavorato sta poi ai vari direttori di corso programmare, applicare e far applicare una progressione didattica coerente con il corso in oggetto. Il Cai dovrebbe introdurre ed insegnare al pubblico i modi e la cultura per andare in montagna ma molto spesso si trova ad accompagnare. Cosa a mio parere deputata ad altre figure.

  61. @ 7
    “[…] ma poi hanno scoperto un mondo.”
    Alberto, tu stai parlando della Rivelazione! di san Paolo folgorato sulla via di Damasco!
     
    P.S. È un tema quasi religioso per me, che pur sono agnostico.

  62. Forse questa è pura utopia perché tali visioni sono chiaramente in contrasto con gli obiettivi di sicurezza e prevenzione degli infortuni. 

    Questa è un’affermazione del tutto fuori luogo. perché la sicurezza degli allievi è sempre primaria e il messaggio è fare le cose per gradi, in base al proprio stile, possibilità , preparazione, consapevolezza, avendo in primo piano il principio della rinuncia. Questo però non vuol dire che all’allievo non vada detto che lo spirito primario dell’alpinismo è l’avventura e che la fame viene mangiando. In molti si sono iscritti ad un corso senza grandi velleità, solo per imparare un minimo di manovre, ma poi hanno scoperto un mondo.

  63. il CAI per ora insegna a come scalare in sicurezza, la sicurezza innanzitutto, senza sicurezza non si và da nessuna parte, senza certificati che sottoscrivano che sono gli istruttori gli unici responsabili non si và da nessuna parte. Senza una formazione continua e aggiornata non si è nessuno. Praticamente si uccide il Bonatti 267 volte. L’alpinismo è una forma mentale di approccio alla montagna e ridurla ad ogni costo ad un esercizio di recupero feriti, autosoccorso, paranchi, artva, pala sonda, ecc ecc diventa solo un modo per equipararsi alle GA…che si pigliano i soldi. Non vedo più istruttori a insegnare a mettere chiodi, ma solo istruttori attenti a chiudere pure le ghiere della zip dei pantaloni. La sicurezza ammazza l’alpinismo e il suo principio di libertà. Non puoi dare obblighi di artva se non istituisci quello sui ramponi … è come si ti do l’obbligo dei sandali in chiesa ma non di andare nudo. tutto il sistema verte a pararsi il culo. non si insegna a salire ma a pararsi il culo. osannare soste a prova di bomba rende i discenti paurosi e incompatibili con il reale mondo della montagna spesso fatto di ritirate su alberelli, o soste sicure solo se non si fanno cazzate, non a prova di cazzoni…e io gradirei corsi dove si insegna a non essere cazzoni e dove si dice chiaramente la montagna non è per te…e invece  CAI è come la scuola dell’obbligo, dove tonnellate di burocrazia e lo scibile umano psicopedagogico per insegnare quattro minchiate, tanto cmq non puoi bocciare in quanto clienti, e il CAI tende ora a fare clienti, non appassionati.

  64. Luca, ciò che Carlo scrive può essere condivisibile oppure no.
    Su qualche tema concordo con lui, per esempio sull’affollamento in montagna e su (quasi) tutte le soluzioni proposte per ridurlo, benché siano difficilmente realizzabili in un mondo in cui imperversano le orde. Però, intanto, potremmo incominciare noi a metterle in pratica…
     
    Quel che invece riesce arduo da sopportare sono le decine di centinaia di migliaia di milioni di suoi interventi per esprimere la stessa opinione.
    Lui si giustifica sostenendo che molti di noi sono lenti di comprendonio ed è costretto a fare cosí. Ma, credimi, dopo un po’ non se ne può piú, che lui abbia ragione o no.

  65. Assolutamente condivisibile il punto di vista presentato dall’autore. 
    Talmente condivisibile che persino in una presentazione effettuata da una GA per le sue attività didattiche ho trovato riconoscimento del fatto che il CAI, al di là del fatto che sia un’associazione volontaristica e non professionale, proponga formazioni affidabili e garantite.
    L’affidabilità e la garanzia sono sicuramente frutto dell’omogeneità dei contenuti e della coerenza della trasmissione dei medesimi da parte degli istruttori. 
    Mi chiedo se tutto il fervore espresso nell’articolo sia causato dal fatto che l’autore abbia potuto constatare concretamente comportamenti “difformi” da parte di qualche istruttore…
    Alternativa alla costituzione delle ASD da parte dei dissidenti potrebbe essere il proporre la propria visione perché diventi parte della codifica istituzionale CAI. Forse questa è pura utopia perché tali visioni sono chiaramente in contrasto con gli obiettivi di sicurezza e prevenzione degli infortuni. 

  66. Genesi 3, 16-19: “Donna, tu partorirai con dolore”.
    Carlo Crovella, 1/5/2024: “Benassi, tu commenterai con livore”.
     
    Alberto, è uno scherzo: sorridi! 😀 😀 😀

  67.  Quello che avevo da dire l’ho già detto. Quindi me ne guarderò bene di commentare questo PIPPONE, che fa passare la voglia di andare in montagna.

  68. Luigi XV: “Après moi le déluge”.
    Carlo Crovella: “Dopo di me il diluvio (di commenti)”.
     

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