Zero the Hero (GPM 069)
di Gian Piero Motti
(pubblicato originariamente su Rivista della Montagna n. 42 – dicembre 1980)
Riprendiamo l’articolo di Gian Piero Motti, il più controverso e certamente il più criptico. Nella seconda puntata, a cura di Andrea Corradi, pubblicheremo un’analisi e una serie di commenti.
Qui sotto trovate le foto delle quattro pagine di cui è composto l’articolo, e più sotto ancora il testo (per comodità di lettura)
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Prima pagina
Chi saprà stupirsi regnerà…
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Tempo fa decisi di non scrivere più. Avevo bisogno di chiarire e distillare in me stesso alcune visioni di carattere determinante, della cui interpretazione, tuttavia, non ero ben certo. Ora, dopo un lungo e faticoso lavoro di attesa e di autoanalisi, la nebbia si è del tutto diradata e il vero appare nella sua evidenza.
Ho potuto così giungere alla stesura di questo racconto simbolico, che, a mio giudizio, rappresenta la chiave per comprendere il perché della nostra azione in montagna. Mi sono servito dell’allegoria, che sempre mi è stata cara, in quanto penso che essa più facilmente rappresenti dei concetti che altrimenti
risultano di difficilissima spiegazione. Naturalmente il lettore più acuto e intelligente saprà leggere tra le righe, e saprà anche riconoscere nello scritto luoghi, fatti e personaggi di oggi e di ieri. Considero questo scritto come la meta finale e la summa, per così dire, di tutto il mio lungo lavoro di studio e di ricerca. Senza false modestie, in esso si può veramente trovare il tutto, la verità completa spogliata da ogni velo e da ogni inganno.
Questo racconto è come uno specchio fedele in cui ognuno saprà trovare la propria immagine vera, se avrà il coraggio di specchiarvisi. Credo che dopo questo scritto non mi resterà molto da dire…
Amico lettore, non temere. Tu saprai leggere ciò che è contenuto in questo scritto. Corri, corri lettore.
Continua a correre, a discutere, a essere scettico, agnostico, dialettico. Corri, anche tu un giorno troverai il tuo specchio. Io non ho nulla da dirti. Se hai ancora un po’ di pazienza (ma poca, perché sono tanti i falsi maestri che ora ti attendono…) leggi questa illuminante allegoria di Brecht. Forse riesco ancora a trovare la maniera di farti incazzare un poco…
«Gotama, il Budda, insegnava
la dottrina della Ruota dei Desideri, cui siamo legati, e ammoniva
di spogliarsi d’ogni passione e così
senza brame entrare nel Nulla, che egli chiamava Nirvana.
Un giorno allora i suoi discepoli gli chiesero:
“Com’è questo Nulla, Maestro? Noi tutti vorremmo
liberarci d’ogni passione, come ammonisci; ma spiegaci
se questo Nulla in cui noi entreremo
è qualcosa di simile a quella unità col creato
di quando si è immersi nell’acqua, al meriggio, col corpo leggero
quasi senza pensiero, pigri nell’acqua; o quando nel sonno si cade sapendo appena di avvolgersi nella coperta
e subito affondando; se questo Nulla dunque
è così lieto, un buon Nulla, o se invece quel tuo
Nulla è soltanto un nulla, vuoto, freddo, senza significato”.
A lungo tacque il Budda, poi disse con indifferenza:
“Non c’e, alla vostra domanda, nessuna risposta”.
Ma a sera, quando furono partiti,
sedette sotto l’albero del pane il Budda, e disse agli altri,
a coloro che nulla avevano chiesto, questa parabola:
“Non molto tempo fa vidi una casa. Bruciava, il tetto
era lambito dalle fiamme. Mi avvicinai e m’avvidi
che c’era ancora gente, là dentro. Dalla soglia
li chiamai, che ardeva il tetto, incitandoli
a uscire, e presto. Ma quelli
parevano non avere fretta. Uno mi chiese,
mentre la vampa già gli strinava le sopracciglia,
che tempo facesse, se non piovesse per caso,
se non tirasse vento, se un’altra casa ci fosse,
e così via. Senza dare risposta
uscii di là. Quella gente, pensai,
deve bruciare prima di smettere con le domande. Amici, davvero,
a chi sotto i piedi la terra non gli brucia al punto che paia
meglio qualunque cosa piuttosto che rimanere, a colui
io non ho nulla da dire”. Così Gotama, il Budda.»
Seconda pagina
Disegno di Carol Ingram (da Ascent 1975-1976)
Terza pagina
Pagina bianca con carta dei tarocchi “L’appeso”
Quarta pagina
Note dell’autore all’articolo
1 Zero è l’eroe, il protagonista delle imprese narrate dal complesso musicale Gong in alcuni dischi, notoriamente Angel’s egg, You e Camembert electrique. Zero viene dal pianeta Gong e viaggia nel cosmo su teiera volante.
2 Eldorado. Mitico paese dell’oro cercato, si dice, da un drappello di soldati spagnoli di Pizarro, guidati da Don Lope de Aguirre, nella selva amazzonica. Per conoscere meglio la vicenda e assistere al disfacimento dell’assurdo sogno di potere, vedere lo splendido film di Werner Herzog Aguirre, furore di Dio.
3 Nosferatu, il principe della notte. Malgrado la sua pessima fama, il suo personaggio non è privo di altissima poesia.
4 Personaggio del Mahabharata, poema indiano che narra tutta la vicenda umana dall’inizio alla fine. Arjuna è lo strumento di distruzione del Krishna, come nella Bibbia Gog, lo schiacciapopoli, lo è per il Dio ebraico.
5 Tema immenso. Il lettore troverà in questo capoverso motivo di meditazione e di riflessione, di fronte all’assurdo della coesistenza in un solo essere del bene e del male senza che, per questo, vi nasca contraddizione. Non cerchi di capire! «Credo, quia absurdum».
6 Gianni Comino soleva terminare una sua interessante conferenza citando i versi di una poesia in dialetto piemontese: «E tu, dimmi, tu che cos’hai fatto?». «Mi e l’ hai guardà le nivule che a curio ‘n tal ciel!»
7 Personaggio poco simpatico, che resta nella scia altrui assumendo per sé meriti e doti che non possiede affatto. Essendo sovrapposto all’eroe, per chi guarda di sotto l’inganno riesce. Ma verrà smascherato e finirà male.
8 Chi la fa, l’aspetti…
9 E` il colonnello di Apocalipse now, simbolo dell’incapacità umana a raggiungere la perfezione distruttiva, con conseguente genesi dell’odio e della ferocia.
10 Coloro che partirono baldanzosi e certi di vincere ma furono beffati a 150 metri dalla meta. Chi accettò la via normale (rinunciando a quella magica) salì.
11 La testardaggine umana che rifiuta la ragione e l’umiltà finisce male. E anche i propositi di vendetta futura non hanno speranza.
Bibliografia spicciola
Tutto lo scibile umano scritto, tramandato oralmente e trasmesso inconsciamente. Numerosi testi di provenienza extragalattica, il cui reperimento è pressoché impossibile. Cercare di sintonizzarsi con la frequenza di trasmissione mentale (solo le ore notturne, ottima ricezione nel dormiveglia mattutino – inutile cercare il collegamento servendosi di allucinogeni e consimili – attenzione alle numerosissime emittenti private del sistema solare, che mirano a disturbare e confondere la qualità delle trasmissioni). Le letture avvengono in codice: ardua la chiave interpretativa.
Discografia
Nella lettura dello scritto un accompagnamento musicale (cuffia di rigore!) è di aiuto straordinario alla comprensione. Per ovvi motivi storici la musica classica non è adatta. L’autore consiglia pezzi dei Gong, Popol Vhu, Tangerine Dream, Klaus Schutz, King Krimson, Pink Floyd (eccellente The Wall), Alan Parson (ottimo Tales of Mistery and Imagination), Genesis, Steve Hillage, ecc. Per chi è preparato, ottimo Ravi Shankar. Consigliabile la Clear Light Sinphony (assai difficile da trovare, ovviamente!). Attenzione! Una intromissione di “discomusic” può seriamente compromettere la comprensione dello scritto e può generare un rifiuto molto duraturo nel tempo. I cori alpini e Claudio Villa generano un rifiuto eterno!
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Conservo anche io le annate della Rivista della Montagna dal 1980 al 1984, compreso il numero con questo articolo. Trovo interessanti tutti gli interventi, specie quello di daidola.
Quando lessi l’articolo sulla RDM nel lontano 1980, rimasi perplesso come probabilmente la maggior parte dei lettori e passai oltre, alla ricerca di qualche cosa di più concreto, una monografia, un’intervista, una cronaca, un test… Ogni tanto però (allora tutto era meno “liquido” e durava nel tempo) ritornavo su quelle pagine enigmatiche cercando un’interpretazione. Non avevo certamente la profonda conoscenza letteraria dell’autore, non avevo approfondito come lui il significato dei miti e dei simboli, di cui i tarocchi sono una delle numerose espressioni. Sopratutto non avevo letto Il castello dei Destini incrociati e La Taverna dei Destini incrociati da cui sicuramente Motti trasse qualche spunto. Nessuno scrittore inventa nulla, ma rielabora temi assorbiti e sedimentati nel corso della propria formazione e lo stesso Calvino nello scrivere questi racconti si era ispirato ad altri testi, tra cui l’Orlando Furioso. Senza pretendere di fare l’esegesi o di interpretare un articolo ed una personalità complessa, colta e a me ignota come Motti (di cui condivido solo il nome ed una più modesta passione per la montagna e per le parole scritte) , segnalo qui solo due analogie con il testo di Calvino: l’utilizzo deiTarocchi (nel caso di Motti solo una precisa ed unica figura, l’Arcano maggiore XII – L’appeso – nella pagina vuota ) con i suoi complessi significati a cui evidentemente l’autore si sentiva di aderire in quella fase della sua vita. Ma la cosa interessante, al di là dell’interpretazione della carta scelta, è la seconda analogia con il testo di Calvino: come i due protagonisti del romanzo perdono l’uso della parola e decidono di raccontare delle storie utilizzando i Tarocchi, così Motti decide di non scrivere nulla (a parte l’introduzione e le note ad un testo assente), poiché il simbolo spiega già ogni cosa, o almeno l’essenza del suo carattere, della sua visione ed interpretazione del mondo. Volendo c’è un terzo elemento che accomuna i due testi: è la premessa di Zero the Hero, in cui l’autore afferma di aver risolto ogni dubbio e di essere giunto alla definitiva conclusione del perché si vada in montagna (ma forse intende per estensione il senso della vita) : tale premessa è analoga alla conclusione dell’ Orlando di Calvino, quando appeso per i piedi, esclama: «Lasciatemi così. Ho fatto tutto il giro e ho capito. Il mondo si legge all’incontrario. Tutto è chiaro». Ci sarebbe ancora da dire molto, ad es sull’Arcano maggiore XX (il Giudizio) che appare tra le note, una carta positiva, indicatrice di evoluzione e cambiamento, opposta ai dubbi e alle contraddizioni colpevoli dell’Appeso…ma lascio a ciascuno la ricerca e la propria interpretazione.
Ricordo questo scritto. In cantina conservo la vecchia copia della rivista come una reliquia.
È uno dei brani più originali (se brano può essere definito) in cui mi sia mai imbattuto in vita mia. Bravo Gian Piero Motti!
Non ho capito. Evidentemente mi manca un certo background. Se qualcuno me lo sa spiegare in parole semplici gliene sarei grato.
non ci ho capito un ca**o, e forse questa è la vera summa.
grazie davvero, spesso è molto interessante perdersi.
Grazie,
la qualità editoriale di questo blog sembra sempre più bella e curata. Gran lavori.
Ed è bellissimo l’articolo nella pubblicazione originale, con quei disegni.
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Sui contenuti, il primo pensiero che mi salta in mente è “tagliar la testa al toro”;
mi pare che ci sia una dichiarazione senza speranza, malgrado la scherzosità, sulla incomunicabilità di ogni chè a riguardo del “nulla”.
Noi prigionieri difficilmente ci rendiamo conto di esserlo.
Bravo Alessandro a riproporre questo pezzo senza età di Gian Piero Motti! Ricordo quando me lo portò nella sede-magazzino della Rivista a Torino in Corso Moncalieri. Io allora ero il direttore (semplicemente perchè Gian Piero aveva deciso di non più farlo…), ero seduto dietro la vecchia scrivania in legno che oggi sarebbe un bel pezzo di antiquariato. Gian Piero mi disse, con la sua voce profonda ed il suo sorriso intelligente: ” vedi un po’ se hai il coraggio di pubblicare questo mio ultimo pezzo”. Capii tutto, ci conoscevamo bene. Risposi che non l’avrei fatto, perchè non potevo perdere un redattore come lui. Poi, leggendo le note, capii che dovevo avere davvero il coraggio di pubblicarlo, c’era veramente tutto in esse, una rivista che rappresentava la punta di diamante della cultura della montagna e dell’alpinismo non poteva privarsi di un pezzo del genere, che era avanti anni luce…Una redazione intelligente e entusiasta condivise la decisione di pubblicarlo. Enrico Camanni era il capo redattore, ricordo il suo intervento e quelli di un certo Alessandro Gogna, di Gian Carlo Grassi, di Gianni Battimelli, di Gianni Bernardi, tutti a favore.
Ricordo però anche la grande quantità di lettere che ricevetti dai lettori, quasi si fosse trattato di un questionario di “customer satisfaction” e non di un articolo. Numerosi gli entusiasti, pochi gli indignati, molti quelli che avevano pensato ad un errore di stampa, mancava infatti il testo della pagina dell’appeso e chiedevano l’invio di una copia completa della Rivista! Fra di loro un noto giornalista dell’Unità, persona entusiasta e preparata di cui non ricordo il nome (e forse è meglio così!).
Grazie!
Ora l’ho riletto, divertendomi a ripensare a quei tempi che noi giovani alpinisti dilettanti, laureati in tutt’altro, chiamavamo e quando ci rivediamo chiamiamo ancora, “alla scoperta del piccolo e del grande”: si sapeva bene ogni volta se si andava sul piccolo o sul grande.
Vivevamo la nascita di tanti fatti piccoli e l’affermazione dei grandi, vedendo che i piccoli stavano diventando dominanti nelle “storie” qui da noi.
Ecco qual’era l’articolo che ci aveva fato capire l’incapacità del Motti e la sua profonda infelicità.
Quante discussioni avevamo fatto, poi avevamo scartato l’esempio alpinistico, era troppo limitato.
Però quando scriveva era molto bravo.