Zero the Hero 1

Zero the Hero (GPM 069)
di Gian Piero Motti
(pubblicato originariamente su Rivista della Montagna n. 42 – dicembre 1980)

Riprendiamo l’articolo di Gian Piero Motti, il più controverso e certamente il più criptico. Nella seconda puntata, a cura di Andrea Corradi, pubblicheremo un’analisi e una serie di commenti.

Qui sotto trovate le foto delle quattro pagine di cui è composto l’articolo, e più sotto ancora il testo (per comodità di lettura)

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Zero the Hero 1 ultima modifica: 2016-09-08T05:06:59+02:00 da GognaBlog

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8 pensieri su “Zero the Hero 1”

  1. Conservo anche io le annate della Rivista della Montagna dal 1980 al 1984, compreso il numero con questo articolo. Trovo interessanti tutti gli interventi, specie quello di daidola.

  2. Quando lessi l’articolo sulla RDM nel lontano 1980, rimasi perplesso come probabilmente la maggior parte dei lettori e passai oltre, alla ricerca di qualche cosa di più concreto, una monografia, un’intervista, una cronaca, un test… Ogni tanto però (allora tutto era meno “liquido” e durava nel tempo) ritornavo su quelle pagine enigmatiche cercando un’interpretazione. Non avevo certamente la profonda conoscenza letteraria dell’autore, non avevo approfondito come lui il significato dei miti e dei simboli, di cui i tarocchi sono una delle numerose espressioni. Sopratutto non avevo letto Il castello dei Destini incrociati e La Taverna dei Destini incrociati da cui sicuramente Motti trasse qualche spunto. Nessuno scrittore inventa nulla, ma rielabora temi assorbiti e sedimentati nel corso della propria formazione e lo stesso Calvino nello scrivere questi racconti si era ispirato ad altri testi, tra cui l’Orlando Furioso. Senza pretendere di fare l’esegesi o di interpretare un articolo ed una personalità complessa, colta e a me ignota come Motti (di cui condivido solo il nome ed una più modesta passione per la montagna e per le parole scritte) , segnalo qui solo due analogie con il testo di Calvino: l’utilizzo deiTarocchi (nel caso di Motti solo una precisa ed unica figura, l’Arcano maggiore XII – L’appeso – nella pagina vuota ) con i suoi complessi significati a cui evidentemente l’autore si sentiva di aderire in quella fase della sua vita. Ma la cosa interessante, al di là dell’interpretazione della carta scelta, è la seconda analogia con il testo di Calvino: come i due protagonisti del romanzo perdono l’uso della parola e decidono di raccontare delle storie utilizzando i Tarocchi, così Motti decide di non scrivere nulla (a parte l’introduzione e le note ad un testo assente), poiché il simbolo spiega già ogni cosa, o almeno l’essenza del suo carattere, della sua visione ed interpretazione del mondo. Volendo c’è un terzo elemento che accomuna i due testi: è la premessa di Zero the Hero, in cui l’autore afferma di aver risolto ogni dubbio e di essere giunto alla definitiva conclusione del perché si vada in montagna (ma forse intende per estensione il senso della vita) : tale premessa è analoga alla conclusione dell’ Orlando di Calvino, quando appeso per i piedi, esclama: «Lasciatemi così. Ho fatto tutto il giro e ho capito. Il mondo si legge all’incontrario. Tutto è chiaro». Ci sarebbe ancora da dire molto, ad es sull’Arcano maggiore XX (il Giudizio) che appare tra le note, una carta positiva, indicatrice di evoluzione e cambiamento, opposta ai dubbi e alle contraddizioni colpevoli dell’Appeso…ma lascio a ciascuno la ricerca e la propria interpretazione.

  3. Ricordo questo scritto. In cantina conservo la vecchia copia della rivista come una reliquia.
    È uno dei brani più originali (se brano può essere definito) in cui mi sia mai imbattuto in vita mia. Bravo Gian Piero Motti!

  4. Non ho capito. Evidentemente mi manca un certo background. Se qualcuno me lo sa spiegare in parole semplici gliene sarei grato.

  5. non ci ho capito un ca**o, e forse questa è la vera summa.
    grazie davvero, spesso è molto interessante perdersi.

  6. Grazie,
    la qualità editoriale di questo blog sembra sempre più bella e curata. Gran lavori.
    Ed è bellissimo l’articolo nella pubblicazione originale, con quei disegni.
    .
    Sui contenuti, il primo pensiero che mi salta in mente è “tagliar la testa al toro”;
    mi pare che ci sia una dichiarazione senza speranza, malgrado la scherzosità, sulla incomunicabilità di ogni chè a riguardo del “nulla”.
    Noi prigionieri difficilmente ci rendiamo conto di esserlo.

  7. Bravo Alessandro a riproporre questo pezzo senza età di Gian Piero Motti! Ricordo quando me lo portò nella sede-magazzino della Rivista a Torino in Corso Moncalieri. Io allora ero il direttore (semplicemente perchè Gian Piero aveva deciso di non più farlo…), ero seduto dietro la vecchia scrivania in legno che oggi sarebbe un bel pezzo di antiquariato. Gian Piero mi disse, con la sua voce profonda ed il suo sorriso intelligente: ” vedi un po’ se hai il coraggio di pubblicare questo mio ultimo pezzo”. Capii tutto, ci conoscevamo bene. Risposi che non l’avrei fatto, perchè non potevo perdere un redattore come lui. Poi, leggendo le note, capii che dovevo avere davvero il coraggio di pubblicarlo, c’era veramente tutto in esse, una rivista che rappresentava la punta di diamante della cultura della montagna e dell’alpinismo non poteva privarsi di un pezzo del genere, che era avanti anni luce…Una redazione intelligente e entusiasta condivise la decisione di pubblicarlo. Enrico Camanni era il capo redattore, ricordo il suo intervento e quelli di un certo Alessandro Gogna, di Gian Carlo Grassi, di Gianni Battimelli, di Gianni Bernardi, tutti a favore.
    Ricordo però anche la grande quantità di lettere che ricevetti dai lettori, quasi si fosse trattato di un questionario di “customer satisfaction” e non di un articolo. Numerosi gli entusiasti, pochi gli indignati, molti quelli che avevano pensato ad un errore di stampa, mancava infatti il testo della pagina dell’appeso e chiedevano l’invio di una copia completa della Rivista! Fra di loro un noto giornalista dell’Unità, persona entusiasta e preparata di cui non ricordo il nome (e forse è meglio così!).

  8. Grazie!
    Ora l’ho riletto, divertendomi a ripensare a quei tempi che noi giovani alpinisti dilettanti, laureati in tutt’altro, chiamavamo e quando ci rivediamo chiamiamo ancora, “alla scoperta del piccolo e del grande”: si sapeva bene ogni volta se si andava sul piccolo o sul grande.
    Vivevamo la nascita di tanti fatti piccoli e l’affermazione dei grandi, vedendo che i piccoli stavano diventando dominanti nelle “storie” qui da noi.
    Ecco qual’era l’articolo che ci aveva fato capire l’incapacità del Motti e la sua profonda infelicità.
    Quante discussioni avevamo fatto, poi avevamo scartato l’esempio alpinistico, era troppo limitato.
    Però quando scriveva era molto bravo.

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