Su stimolo del giornalista Vittorio Varale, durante il biennio 1930-31 Domenico Rudatis pubblicò nella rivista Lo Sport Fascista una fondamentale Storia dell’arrampicamento in nove puntate (nn. 3, 4, 5, 7, 8 e 12 del 1930 e nn. 2, 6, e 9 del 1931). Scritta da uno degli autori di letteratura di montagna più brillanti e affascinanti del Novecento, l’opera costituì il primo tentativo italiano di storia dell’alpinismo, per quanto limitato alle sole Alpi Orientali.
Qui le puntate finora uscite:
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Uno degli aspetti più importanti e affascinanti della Storia dell’arrampicamento (anche se oggi la cosa può facilmente sfuggire) è l’eccezionale qualità grafica dell’opera: taglio dell’impaginazione, scelta delle fotografie e disegni originali dell’autore. A questo riguardo è giusto ricordare alcune circostanze. Anzitutto la veste tipografica de Lo Sport Fascista: grande formato, illustrazioni di qualità. Insomma, una rivista abbastanza di lusso, per l’epoca. In secondo luogo il buon gusto e la cura certosina di Rudatis, fotografo, disegnatore, illustratore e arredatore di vaglia, che fu attentissimo a curare assieme a Vittorio Varale tutti gli aspetti non solo informativi e teorici ma anche formali della serie.
La prima puntata apparve nel marzo 1930 e costituì la prima collaborazione in assoluto di Rudatis con Lo Sport Fascista. In quella sede vennero definiti i principi fondamentali che guidano il giudizio sulla tecnica e sui valori morali e culturali dell’arrampicata. Pubblichiamo qui il quinto dei nove articoli
(Nota a cura di Luigi Piccioni).
Lettura: spessore-weight(4), impegno-effort(3), disimpegno-entertainment(2)
L’apogeo della tecnica dell’arrampicamento (Storia dell’arrampicamento – 05) (05-09)
di Domenico Rudatis (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna)
(pubblicato su Lo Sport Fascista, agosto 1930)
Stabilita nel quarto articolo l’elevazione delle conquiste internazionali dello sport dell’arrampicamento dall’alba del nostro secolo fino al 1911, l’ulteriore estrema progressione di esse nel periodo che ha immediatamente preceduto la guerra mondiale è ora trattata da Domenico Rudatis presentando per la prima volta un quadro, preciso e interessantissimo, della formazione della dominante “Scuola di Monaco”, attraverso lo svolgimento della genialità e dell’audacia di Dülfer – il re dell’arrampicamento – sulle verticali, levigate ed impressionanti pareti del Kaisergebirge (Nota della redazione de Lo Sport Fascista).
Gli ultimi anni che immediatamente precedettero lo scatenarsi della guerra mondiale, costituirono il periodo più interessante e più significativo dell’evoluzione della tecnica d’arrampicata; tanto che si può addirittura affermare che nel breve intervallo di tempo scendente dal 1910 fino al 1913, la tecnica dell’arrampicamento raggiunse tutta la completezza della sua attuale perfezione. E ciò non per l’impiego di nuovi mezzi artificiali – ché l’introduzione di nuovi mezzi artificiali non potrebbe assolutamente rappresentare un miglioramento della tecnica di roccia, implicando anzi in generale un abbassamento della purezza dello stile, e determinando, tutt’al più, un altro procedere diverso dall’arrampicare vero e proprio – ma bensì essenzialmente per l’uso combinato e geniale di quei mezzi che soli hanno legittimo impiego nello sport dell’arrampicamento, in base ai principii fondamentali dei quali abbiamo dapprima trattato. E nello stesso tempo per un effettivo, intrinseco raffinamento dell’arte di arrampicare in se stessa, che l’aumentata esperienza e lo sviluppo dei metodi di assicurazione resero possibile, permettendo il pieno svolgimento e il preciso controllo delle capacità atletiche naturali degli arrampicatori.
Nel lavoro precedente a questo è stata tracciata l’ascesa dei nuovi valori durante il biennio 1910-1911, rilevando il culminare di essa nella scalata della parete settentrionale della Lalider nel gruppo del Karwendel, effettuata dalla grande guida Angelo Dibona di Cortina d’Ampezzo, conducendo, assieme a Luigi Rizzi pure guida, i fratelli Guido e Max Mayer di Vienna.
Per completare l’esposto tracciamento, potremmo ora accennare ad alcune imprese particolarmente notevoli compiute nel predetto biennio, oltre a quelle di cui già abbiamo parlato, come ad esempio: la diretta scalata della parete nord-ovest della Piccola Civetta realizzata nel 1910 da Gabriel Haupt e Karl Lömpel; la cosiddetta “fessura diagonale” del versante meridionale della Punta delle Cinque Dita superata nel 1911 da Haupt e Kurt Kiene; il più orientale dei camini della parete nord del Totenkirchl vinto nel 1911 da Hans Dülfer e Ludwig Hanstein, e noto appunto come “camino Dülfer”; e così pure altre.
Ma la conquista della parete della Lalider s’impone così nettamente sopra tutte le imprese sia anteriori che contemporanee, presentando complessivamente una tale superiorità, ormai nota e confermata dall’intera esperienza degli anni successivi, che sarebbe inutile attardarsi qui, riportando delle testimonianze o delle indagini comparative.
Riassumendo lo sviluppo dell’arrampicamento durante il biennio 1910-1911 in una visione d’insieme, risalta dunque anzitutto il predominio dei valori delle imprese di Angelo Dibona, predominio parzialmente condiviso dalla guida Hans Fiechtl con la sua scalata della diretta parete nord-est del Feldkopf, e degnamente accompagnato dall’attività di Tita Piaz e di Paul Preuss, alla quale inoltre si unisce l’allora emergente valore di Hans Dülfer e di Otto Herzog e secondariamente anche l’attività di alcuni altri valorosi arrampicatori.
Il progresso dell’arrampicamento durante il biennio 1912-1913
L’ascesa dei valori svoltasi nel periodo 1910-1911 prosegue durante il successivo biennio 1912-1913 portando la tecnica dell’arrampicamento alla sua fase conclusiva e intrinsecamente definitiva. Conclusione nella quale si vede la tecnica elevarsi alla sua massima perfezione e congiunta a un senso nitidamente atletico, ad una audacia e volontà prodigiose, creare delle realizzazioni che possono essere considerate come tanto prossime al limite del possibile in roccia da definire l’inizio di una categoria assolutamente estrema di valori.
Detta fase conclusiva consiste più specificatamente nell’attività del 1913 mentre il 1912 resta piuttosto un anno di maturazione ed è esclusivamente opera di Otto Herzog, di Hans Fiechtl e, sopratutto, di Hans Dülfer.
Con l’effettuazione del secondo percorso della parete nord della Lalider compiuto nel 1912 da Otto Herzog e Georg Sixt si dimostra la prontezza con la quale questi arrampicatori si adeguarono alla progressione dei più alti valori, e risulta detta impresa particolarmente notevole tra tutte quelle effettuate in tale anno.
Pure nel 1912 vediamo Hans Dülfer con vari compagni ma specialmente con Werner Schaarschmidt, aprire numerose vie nuove oltremodo difficili e importanti nelle Dolomiti e nel Kaisergebirge, fra le quali maggiormente si rileva la sua magnifica vittoria conseguita sulla parete est della Fleischbank.
E’ questa una muraglia alta quasi quattrocento metri, di una levigatezza, compattezza e perpendicolarità veramente singolari, una struttura che ha assai pochi confronti, e che è concordemente ritenuta la più bella delle pareti del Kaisergebirge. Già prima tentata senza successo da arrampicatori preminenti come Hans Fiechtl, Georg Sixt, Otto Herzog, Adolf Deye e altri ancora, venne vinta direttamente al primo attacco e in un tempo per una prima ascensione relativamente minimo, da Hans Dülfer e Werner Schaarschmidt i quali tracciarono una via di scalata ideale che risolse in modo stupendo lo straordinariamente arduo problema.
Tale impresa costituì un autentico trionfo nel campo dello sport della roccia, la notizia di esso si diffuse rapidissima destando viva e grande sorpresa nei più competenti ed appassionati ambienti di arrampicatori. L’interesse destato da questa scalata fu così intenso che già nel 1912 venne ripetuta ben sette volte, cioè da Georg Sixt, Adolf Deye, Hans Pfann e da alcune rinomate guide dolomitiche. I più abili scalatori erano ansiosi di cimentarsi con le sue difficoltà, e la sua fama si allargò sempre più, tanto che attualmente le ripetizioni salgono all’incirca a duecento.
Effettivamente tra tutte le nuove ascensioni compiute nel 1912, quella della parete est della Fleischbank è la più importante, la più acutamente indovinata, la più brillante impresa d’arrampicamento. Ma se nella conquista di detta parete si può palesemente riconoscere l’originalità e la superiore genialità tecnica del giovanissimo Dülfer – allora appena diciannovenne – tuttavia come prestazione complessiva la scalata della titanica parete settentrionale della Lalider con i suoi pressoché novecento metri di altezza, con le sue innumerevoli difficoltà, con i suoi tratti friabilissimi, possente sforzo e magnifica attestazione del valore italiano in terra straniera, non risultò ancora sorpassata.
Soltanto nel 1913 l’ulteriore progressione dei valori concretò la sua avanzata al di là dalla pietra miliare della Lalider.
Le estreme realizzazioni di questa progressione sono:
– la prima diretta arrampicata della parete sud della Schüsselkarspitze, nel Wetterstein (uno dei più notevoli gruppi delle Alpi Calcaree Settentrionali e più vicini a Monaco di Baviera), effettuata da Otto Herzog e Hans Fiechtl, che superarono i quasi cinquecento metri d’altezza di questa uniformemente liscia e paurosa muraglia col più duro lavoro di roccia, durante due giorni.
– la scalata della diretta parete ovest del Totenkirchl compiuta da Hans Dülfer e Willi von Redwitz.
– la salita della Fleischbank lungo la fessura sudorientale nota appunto come “fessura Dülfer”, che Dülfer superò da solo.
Imprese alle quali si potrebbe eventualmente aggiungere la scalata della parete ovest della Cima Grande di Lavaredo eseguita da Hans Dülfer con Walter von Bernuth.
Tali arrampicate, ad eccezione forse di quest’ultima per la quale vanno poste le riserve relative all’insufficienza degli attuali elementi di giudizio e di comparazione, costituiscono una nuova categoria di valori che lascia dietro di sé, assieme alla parete nord della Lalider, anche ogni altra arrampicata di quel tempo e tanto più quelle anteriori, non solo, ma che per molti riguardi si pone realmente – come abbiamo accennato – in contatto col limite del possibile in roccia. E vedremo infatti in seguito come il modernissimo sviluppo dell’arrampicamento determinatamente dimostra che i più intensi ulteriori sforzi, pur elevandosi ad un maggior contatto con l’estremo limite del possibile, rientrano sempre nella predetta categoria, qualora la categoria stessa rappresenti un complesso definibile, pratico, concreto di valori e non la pura astrazione ideale del limite.
Cioè, dal punto di vista della valutazione più appropriata delle imprese d’arrampicamento, la categoria finale esprimente il raggruppamento di quei valori che tendono più elevatamente al limite del possibile, categoria che si può dire aderente al limite stesso, viene aperta dalle predette imprese.
Si stabilisce così finalmente per la prima volta la nozione stabile dell’“estremamente difficile” in roccia.
Lo sport dell’arrampicare, nell’evoluzione che abbiamo finora delineata, dal tempo di Winkler della sua esplicita formazione fino al primo decennio del nostro secolo, si svolse principalmente nelle Dolomiti, con una progressione di conquiste dovuta quasi esclusivamente alle nostre guide dolomitiche: Luigi Rizzi, Tita Piaz, Angelo Dibona. Con l’opera di Tita Piaz, nel Kaisergebirge e poi con le superbe affermazioni di Angelo Dibona nel Gesäuse e nel Karwendel, il culminare dei valori si spostò rapidamente all’infuori delle Dolomiti.
Gli arrampicatori tedeschi e austriaci presero pressoché immediatamente coscienza della graduale culminazione dei valori stessi, avvantaggiandosi anzi notevolmente dalla estensione di essi, durante il biennio 1910-1911, al di là dalle Dolomiti, entro i loro confini. Ed infatti vediamo già nel 1911, Paul Preuss effettuare con Paul Relly il secondo percorso della via Dibona-Mayer-Rizzi sulla parete sud-ovest del Croz dell’Altissimo e sullo spigolo dell’Oedstein, del quale, nel 1912, i valenti arrampicatori austriaci Rudolf Redlich e Julius Stefansky effettuavano brillantemente il terzo percorso, e nello stesso anno – come abbiamo già detto – veniva compiuto dai monachesi il secondo percorso della via Dibona-Mayer-Rizzi sulla gigantesca muraglia settentrionale della Lalider.
All’opposto, la tradizione alpinistica italiana non riuscì mai a prendere contatto con quella mirabile elevazione di valori realizzata dalle massime conquiste che Angelo Dibona compì nelle Dolomiti; basta dire che per trovare la prima cordata italiana che è riuscita a superare l’immane parete del Croz dell’Altissimo dalla Val delle Seghe lungo l’itinerario Dibona-Mayer-Rizzi, bisogna scendere dal 1910 fino al 1929, alla scalata cioè di Renzo Videsott e Domenico Rudatis.
Non solo, ma si potrebbe anzi rilevare che per trovare il contatto della tradizione alpinistica italiana anche col livello alquanto inferiore di valori è parimenti necessario scendere fino quasi al tempo presente.
Pertanto, non potremo più stupirci constatando che quelle gloriosissime imprese, le quali ben tranquillamente dimostrarono al di là dai nostri confini la valentia delle guide dolomitiche d’Italia, non sono mai state raggiunte dalla tradizione alpinistica italiana, la cui gravissima insufficienza, in alcun modo giustificabile, non sta tuttavia tanto nel trovarsi ad un livello molto inferiore di capacità, quanto piuttosto nel non aver saputo nemmeno intendere e far conoscere l’importanza delle maggiori opere delle nostre più grandi guide, disperdendosi invece – essa tradizione – nella esaltazione retorica di imprese intrinsecamente secondarie e spesso meschine.
E’ questo il punto nel quale la insufficienza si palesa veramente come deficienza, e cade il complesso tradizionale dell’arrampicamento dolomitico italiano. Guide a parte s’intende, e a parte le nostre nuove provincie allora non ancora riunite all’Italia e qualche individuale sempre tuttavia di valore limitato.
Caduta definitiva in quanto riconosciuta nel detto complesso tradizionale la degenerazione decorativistica, ovviamente antispirituale ed antisportiva, vediamo che – analogamente a tante altre attuali attività – proprio attraverso la dura lotta di svincolamento della tradizione sono emerse le reali qualità di razza e si sono potuti affermare tutti quei valori che nelle direttive spirituali e nella azione, stanno riportando l’arrampicamento in Italia all’altezza del livello raggiunto dalle nazioni più progredite, come la Germania.
Con le suddette necessarie considerazioni risulta chiaramente che non è possibile parlare dell’arrampicamento italiano in rapporto all’ascesa dei valori durante il biennio 1912-1913 che stiamo esaminando. La tradizione in Italia non giunse neppure a immaginare tale ascesa. Tanto è vero che questa è la prima volta che se ne parla su pubblicazioni italiane!
Otto Herzog, atletico arrampicatore di primissimo ordine, dominatore e specialista del Karwendel, sulle cui immani pareti svolse in prevalenza la sua intensa attività, è presentemente il solutore di oltre un centinaio di problemi e tuttora operante.
Hans Fiechtl, l’eccellente guida della Zillertal, dove colse i suoi primi importanti successi, e donde passò nei più svariati gruppi delle Alpi Orientali e specialmente nel Kaisergebirge, gruppo nel quale pervenne, nel dopo guerra, alla massima prestazione, fu il primo a perfezionare l’uso della corda e dei chiodi, che fino allora era sempre rimasto quasi elementare.
Se però questi due eminentissimi arrampicatori, intraprendenti e oltremodo attivi, contribuirono grandemente allo sviluppo ed al progredire dell’arrampicamento, elevandosi con la loro scalata della diretta parete sud della Schüsselkarspitze al più alto livello dell’epoca che stiamo considerando, per iniziativa e merito del tutto proprio; il contributo di Hans Dülfer nell’epoca stessa risulta più originale, più completo, più intimo e più costruttivo, così da sovrastare nettamente ogni confronto, da valorizzare e definire personalmente il suo tempo.
Hans Dülfer e la sua opera
Hans Dülfer, originario di Kufstein nel Tirolo, adolescente dall’aspetto piuttosto gracile, fu in montagna per la prima volta nel 1910, all’età di diciassette anni, assieme al padre e a una guida in una salita nella Silvretta, gruppo di monti delle Alpi dei Grigioni.
Raccontò il padre il grande stupore che colse allora la guida nel vedere la magnifica andatura del giovinetto durante tutto lo svolgimento di questa ascensione, dopo la quale la guida divenne inutile ed Hans guidò lui il padre!
Così nella delicata struttura dello studente giovinetto si rivelò in germe l’arrampicatore sommo, e così Hans Dülfer conobbe la montagna e fu da essa subitamente e profondamente affascinato.
L’anno seguente, nel 1911, egli partecipò a diverse gite di allenamento con delle comitive di Monaco, e ripeté numerose volte il noto camino Botzong del Predigtstuhl, la superba montagna del Kaisergebirge, che equivale in difficoltà alla scalata di Winkler sulla omonima Torre del Vajolet, e con queste ripetizioni studiò l’arte dell’arrampicatore. Fece alcune scalate assieme ad Hans Fiechtl che fu quindi il suo maestro della tecnica d’arrampicamento, maestro che doveva venir ben presto superato dalla genialità dell’eccezionale allievo.
Col compagno Hans Kämmerer si recò nelle Dolomiti, desiderio vagheggiato da Dülfer durante tutto l’anno e per il quale – come egli stesso confessò – aveva lungamente e pazientemente risparmiato, che le Dolomiti furono sempre da lui considerate come le montagne ideali e particolarmente amate, con crescente passione. Vi effettuò parecchie arrampicate tra cui la prima scalata della difficilissima parete sud della Croda da Lago nel gruppo del Catinaccio. Salì due volte da solo sul Campanile Basso di Brenta.
Compì il secondo percorso della via che l’anno precedente Hans Fiechtl con la guida W. Gründler e C. Hailer, aveva aperto sulla parete ovest della cima principale del Predigtstuhl e che Fiechtl stesso aveva giudicata alquanto più difficile della celebre via Piaz alla seconda terrazza sulla parete ovest del Totenkirchl.
E si deve poi rammentare nuovamente la salita compiuta da Dülfer con Hanstein, del più orientale dei camini della parete nord del Totenkirchl, camino così difficile che, nonostante i successivi tentativi, soltanto nel 1919 si riuscì a ripetere. Tale il primo anno di attività del prodigioso giovanissimo arrampicatore.
L’anno appresso, nel 1912, egli ormai eccelle tra i migliori, il suo nome diventa improvvisamente celebre. Già nella scalata della parete est della Fleischbank si manifestarono splendidamente la finezza della sua intuizione di scopritore di vie e le innovazioni della sua tecnica, che l’arte di traversare da lui impiegata in tale impresa fu per tutti una vera e propria rivelazione.
Nel 1913 egli è il re indiscusso dell’arrampicamento, davanti al quale ogni altro arrampicatore deve inchinarsi. Un re modesto, taciturno e sdegnoso di ogni teatralità.
Le sue maggiori imprese sono tali che per dare ad esse una precisa designazione di difficoltà si deve stabilire un concetto interamente nuovo. La loro superiorità è assoluta e la stessa scalata della diretta parete sud della Schüsselkarspitze di Fiechtl e Herzog che unica raggiunge il livello dei valori delle arrampicate di Hans Dülfer che abbiamo addietro specificato, è ad esse cronologicamente posteriore, sebbene di poco. La tecnica dell’arrampicamento venne realmente innalzata da Dülfer a una perfezione scientifica. Ciò che per Preuss e altri maestri era semplicemente un istinto e un’arte, con Dülfer divenne arte, scienza e consapevolezza nel medesimo tempo.
Il suo procedere in roccia costituì pure uno stile definito e caratteristico. Egli non aveva movimenti di slancio, né scatti; non arrampicava come un ginnasta, ma piuttosto come un tipo speciale di acrobata spontaneo. Ogni movimento era in lui calmo e naturale, ciò che fece dire giustamente ad una celebre guida dolomitica: “Dülfer non arrampica, egli accarezza la roccia”.
Ma i suoi movimenti possiedono una perfetta continuità, nel loro succedersi non c’è mai alcuna esitazione, sono sempre dominati da un finissimo senso di equilibrio e collegati da una visione quanto mai intelligente. La sua sicurezza è così completa che sembra annientare qualunque esposizione per quanto pericolosa e vertiginosa! Questa, nelle sue linee più generali, la fisonomia dello stile di Dülfer.
Pertanto, non solamente Hans Dülfer sviluppò al più alto grado la tecnica relativa all’uso della corda e dei chiodi, ma al suo modo di procedere in roccia corrisponde lo stile tecnicamente di massimo rendimento.
Le arrampicate dolomitiche compiute da Dülfer sono numerosissime; il complesso di problemi da lui risolti nelle sole Dolomiti di Sesto e nel gruppo del Catinaccio è imponente. Performance sportiva brillantissima che luminosamente attesta la meravigliosa abilità arrampicatoria di Hans Dülfer, è la completa traversata da nord-estt verso sud-ovest dell’intero massiccio della Cima Piccola di Lavaredo da lui effettuata con Walter von Bernuth nel tempo straordinariamente breve di ore cinque inclusi i riposi! Poiché questa traversata comprende la salita alla Cima Piccolissima per la via Preuss, la discesa alla Forcella della Piccolissima, la salita alla Punta di Frida per la via Dülfer, la discesa al Passo della parete Nord, la salita alla Cima Piccola per la via classica della parete nord e infine la discesa per la via ordinaria, la brevità del tempo impiegato riesce più che mai sorprendente. La stessa via Preuss alla Piccolissima le cui difficoltà secondo Preuss equivalevano alle maggiori da lui incontrate nelle sue conquiste, fu da Dülfer superata con una rapidità ed una disinvoltura incomparabili. Tra i successi dolomitici di Dülfer ebbe considerevole fama la sua prima libera arrampicata per roccia della Torre del Diavolo, alla quale tuttavia egli non attribuì soverchia importanza, ritenendola un’esercitazione ricca di godimento sportivo e nient’altro.
La più difficile arrampicata di Dülfer
La più difficile fra tutte le imprese realizzate nelle Dolomiti da Dülfer, nella valutazione data da lui stesso, e una delle sue arrampicate più difficili in generale, è la parete ovest della Cima Grande di Lavaredo. Scalata che all’opposto ebbe scarsissima rinomanza, tanto che, mancando ogni dato relativamente alle sue ripetizioni, non si conosce tuttora di essa che quanto egli lasciò detto, cioè soltanto indicazioni molto ristrette.
La corona delle scalate di Dülfer, nel concetto prevalente degli arrampicatori, è la sua diretta sulla parete ovest del Totenkirchl, muro verticale di seicento metri di altezza, da lui superata nel tempo, come prima salita assai breve, di sette ore; con un itinerario che risolve il problema nella maniera più soddisfacente e definitiva e che anche ora, dopo i più moderni successi, si potrebbe ritenere come impossibile tanto questa parete appare liscia inarticolata e paurosa. In tale itinerario si incontra la più difficile, complessa ed impressionante delle caratteristiche traversate in parete di Dülfer.
L’importanza di questa impresa nella storia dell’arrampicamento è così notevole e così significativa che non a torto si disse che lo sviluppo della tecnica moderna si può quasi considerare compreso tra la vecchia via Piaz del 1908, e la diretta via Dülfer, sulla medesima parete ovest del Totenkirchl. Attualmente questa via conta già parecchie ripetizioni.
Ma pure a chi ha percorso anch’essa, manca ancor molto prima di conoscere tutta l’incomparabile arte arrampicatoria di Hans Dülfer. Appena i pochi che salirono anche la fessura Dülfer – il Dülferriss – della Fleischbank, poterono ciò veramente comprendere.
L’eccelso valore del ventenne arrampicatore sovrano risalta tanto dalle estreme difficoltà di questa scalata, che tecnicamente, per le stesse dichiarazioni di Dülfer e per la conferma unanime di tutti coloro che ardirono ripeterla, è decisamente la più difficile fra tutte le sue imprese, quanto e forse più dal fatto prodigioso che egli realizzò da solo tale conquista.
Non era certo un ozioso discorso quello che Dülfer fece al valente alpinista Otto Leixl, che cioè egli avrebbe voluto volentieri conoscere chi, al pari di lui, da solo, quella fessura avesse arrampicato. E pochi infatti ripeterono la scalata e nessuno riuscì ancora a vincerla da solo!
Con l’opera di Hans Dülfer, accompagnata dall’attività di Otto Herzog, di Hans Fiechtl e di Georg Sixt, la scuola di Monaco è compiutamente formata e dovunque trionfante.
La gioventù monachese sentì immediatamente il fascino dei successi di Dülfer e fece delle pareti del Kaisergebirge la sua meta preferita. Mentre la posizione favorevole di questi monti, tra il Tirolo e la Baviera, facilitò la frequenza. Il Totenkirchl diventò sempre più un enorme blocco d’arrampicamento. Oltre al tracciarvi la sua grandiosa via sulla parete ovest, anche Dülfer, come Fiechtl e altri, vi ricamò intorno tutto un complesso di itinerari parziali e di varianti, su ogni versante.
Con l’esempio di Dülfer la scuola di Monaco perviene a una superiorità tecnica che, come vedremo particolarmente nel prossimo lavoro, si mantiene fino al tempo presente.
Nel 1914 l’arrampicamento venne sopraffatto dal divampare della guerra mondiale cosicché anche l’attività di Dülfer subì l’arresto generale.
Il 15 giugno 1915, proprio nel giorno preciso in cui cadeva il terzo anniversario della conquista della parete est della Fleischbank, il primo grande successo di Dülfer, l’arrampicata che lo rese famoso e per la quale egli aveva una particolarissima preferenza, quella che egli, contrariamente a tutte le altre, ripeté molte volte, una granata francese ad Arras, troncava ciecamente la giovane vita di Hans Dülfer, il genio dello arrampicamento, colui che innumerevoli volte sopra tutti aveva osato, sfiorando coscientemente la morte in una continua sfida vittoriosa.
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