Preoccupanti meteore
di Lorenzo Merlo
(pubblicato su Victory Project il 15 gennaio 2016, rivisto il 2 febbraio 2017)
Dall’euforia positiva del boom economico, con un arco discendente si è giunti in pochi decenni all’effimero e all’edonismo opulente. Tutti i settori della nostra cultura ne sono stati coinvolti. In quegli anni, il Razionalismo dell’architettura e le aspirazioni metafisiche del design commisero parricidio. Epistemologia scomoda dal boom economico a poco fa. Speriamo.
C’era una mente in quel periodo che si riconosceva o che spingeva nella direzione del produttivismo. Vantava forze positivistiche e materialistiche. Vedeva affermarsi sopra ogni ragionevole incertezza l’homo oeconomicus e il benessere – oltre ogni ragionevole dubbio – era misurato col solo termometro del pil.
«Infrangete la struttura che connette gli elementi di ciò che si apprende e distruggerete necessariamente ogni qualità (1)».
Un po’ come ai tempi di Paul Preuss, quando il valore spirituale (2) del suo alpinismo rimase soffocato dalla più facile ragione della quantità. Con la corda, molto di più si sarebbe potuto realizzare.
Nonostante le modalità di quegli anni coinvolsero la maggioranza fino a esserne cultura, non tutti ne furono travolti. Si svilupparono certamente correnti contrarie ed eccezioni individuali rilevanti.
Ci sono altri mondi dietro il muro dei nostri stessi divieti
Tronfi di autoreferenzialità, gli architetti (ma i designer fanno coppia) in questi ultimi decenni, con apparente coraggio, con certa irriverenza, si sono lanciati verso isole lontane dalle terre d’origine.
«Il discorso, in apparenza, ha un bell’essere poca cosa, gli interdetti che lo colpiscono rivelano ben tosto e assai rapidamente, il suo legame col desiderio e col potere. E non vi è nulla di sorprendente in tutto questo: poiché il discorso – la psicanalisi ce l’ha mostrato – non è semplicemente ciò che manifesta (o nasconde) il desiderio; e poiché – questo, la storia non cessa di insegnarcelo – il discorso non è semplicemente ciò che traduce le lotte o i sistemi di dominazione, ma ciò per cui, attraverso cui, si lotta, il potere di cui si cerca di impadronirsi (3)».
Seguendo rotte libere, timonate, in simbiosi, dall’arroganza di chi si sente avanguardia e dal dogma di chi si sente nel vero – ma comunque slegate dalle esigenze dei molti – credendo di poter prendere a calci la storia, gli architetti hanno creduto di essere superiori all’umile servizio che erano chiamati a rendere. Abbracciando come una fede le novità concesse dalla plastica e dalla speculazione edilizia, invaghendosi del successo ma vuoti di futuro, oltre alla storia avevano disdegnato anche la psicologia, l’ambiente, la natura, la bellezza. Carichi della retorica con cui si circondavano, cavalcavano il protagonismo con euforia. Attraversati dal sentimento della gloria, non si ritenevano più secondi agli artisti. Anzi, i nuovi poeti erano in loro.
«… le potenzialità dell’iniziatica privata non vanno disperse ma inquadrate in un’ottica di comunità solidale; e significherebbe declinare l’amor patrio attraverso la difesa dei territori e dei beni artistici, nel contempo esaltando il senso spirituale dell’esistenza. Perché parlare di paesaggio e tutela dell’ambiente, e come correlato anche di politica territoriale e urbanistica, significa preservare la bellezza e rinvigorire di valori sani la comunità (4)».
Ciechi all’effimero e al brutto avevano preso campo. Pochi seppero chiamarsi fuori, nonostante il doloroso urlo cantato dal ragazzo della via Gluck (5). Il danno – culturale – era compiuto. Le bioregioni immolate – con soddisfazione – sull’altare del presunto progresso, il verbo dell’omologazione era tratto.
«Tutto il nostro vivere come esseri umani è in quanto tale politico, perché genera mondi, e i mondi che generiamo con il nostro vivere e convivere nascono dalle emozioni che fondano le risposte consapevoli o inconsapevoli che forniamo a tali domande. Al tempo stesso, tutto ciò che facciamo nel nostro vivere e convivere come esseri umani sarà di per sé anche educazione, perché opererà sempre come formatore dei sentimenti dei giovani (6)».
Il muro delimita il prato, come una inconsapevole suggestione, ideologia o desiderio fa con le nostre potenzialità
Le loro opere, intrise d’intellettualismo farcito a vanità – come accade per i medici, sempre meno felicemente rispettosi di quanto giurato ad Ippocrate – hanno affermato una pratica di architettura via via più lontana dal registro umano. E l’hanno fatto, ancor più grave, inconsapevolmente convinti che dire razionale corrispondesse a funzionale, che una parvenza d’artismo potesse permettersi di stravolgere la nuce di un mestolo, di un bricco, di uno sgabello.
Nel concepire solai e tetti hanno creduto fosse loro diritto variegare la riga orizzontale, sostituirla con una obliqua, svergolare finestre e plafoni.
«… pretendiamo che il mondo abbia un divenire indipendentemente da noi, per giustificare la nostra mancanza di responsabilità nelle azioni, e confondiamo l’immagine che cerchiamo di proiettare, il ruolo che rappresentiamo, con l’essere che realmente costruiamo durante la nostra vita quotidiana (7)».
Più considerevolmente del finora sospettato, quelle manie di distinguo di presa di distanza dalle coordinate storiche, di tuffo verso l’esaltante abisso del mai fatto prima – trattandosi di città, palazzi, quartieri o di oggetti comunitari e identitari – di dominio pubblico intendo dire – hanno partecipato a destabilizzare quel residuo d’identità, certezza, serenità che vi era nelle relazioni comunitarie e che, nella relazione con la domus, l’uomo percepisce perché è lì che si fonda e realizza la sua realtà.
Ironia della sorte, Domus – insieme a diverse altre – era infatti una diffusa rivista di quell’epoca che giustamente faceva appello al potente arcano che quel termine contiene e richiama. Averne la collezione era un must per i nuovi padroni dei piani regolatori e per i dispensatori di consigli d’arredamenti, peraltro gli stessi che nei loro piani regolatori permettevano, anzi favorivano e spingevano, insediamenti in alvei di corsi d’acqua, in fondo a valloni e conoidi di deiezione di montagne e versanti vallivi. Permettevano e favorivano per due ragioni. La prima, per denaro in quanto ogni concessione fruttava denaro alle casse comunali e non solo. Queste sull’effervescenza del momento non potevano che pensare di essere sulla cresta dell’onda più bella. La seconda, per distanza dalla natura, la cui recondita ragione si trova anche nel medesimo motivo della precedente, ovvero nella legittimazione etica che fare denaro era cosa più nobile di altre.
«E il “contesto” è legato ad un’altra nozione non definita che si chiama “significato”. Prive di contesto, le parole e le azioni non hanno alcun significato. Ciò vale non solo per la comunicazione verbale umana ma per qualunque comunicazione… (8)».
Decenni passati in un soffio come un sorpasso (9), con il foulard al collo o con altre stravaganze leggere. Lo faceva la moda, l’arte, la politica perché non avrebbero potuto farlo loro?
Il lascito di quel periodo è ora spettacolo frequente nei paesaggi d’Italia. Ora molti paesaggi sono carichi del peso insopportabile della bruttezza, molti di questi, confinati in spazi dal quale l’occhio non può fuggire. Statali, pianure, valli e litorali sono lì a dare dimostrazione delle pene alle quali sempre meno sono ciechi e sordi.
Il valore dell’arcano della domus non sarebbe stato blasfemamente sostituito da uno schizzo, senza incertezze, pieno di guizzi, risatine, e pretese di assoluto se chi l’avesse disegnato non stesse scivolando felice nel gorgo senza futuro dell’edonismo.
«Non si vede bene che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi (10)».
La preoccupazione nei confronti di quanto siamo stati capaci di concepire e fare è emersa tardivamente e non ancora sufficientemente. Per quanto ora si parli di impatto zero, per quanto esistano leggi ambientali e alcune zone sia sotto la protezione delle soprintendenza belle arti e paesaggio, c’è da dire di più. Quella mente, per dirla come Bateson, corrisponde ad un discorso – per seguire Foucault – creato da noi. Siamo noi i responsabili di quelle preoccupanti meteore che hanno devastato territorio, paesaggio e cultura. Corpi che vagano nello spazio degli uomini, emessi da quanto abbiamo dentro in forma di sentimento e pensiero, da come elaboriamo le emozioni, dalle responsabilità che attribuiamo ovvero da quanto siamo in grado di assumercele. Ripetere certi orrori sarà sempre nostra responsabilità. Per una breve insuperabile sintesi fare riferimento ai vizi capitali.
Ragioni più che legittime, sirene più che affascinanti, avevano sospinto gli uomini là, in quelle regioni lontane dalla natura e dall’unità, apparentemente più prossime alla soddisfazione. Per sottrarvisi era necessario essere consapevoli di quanto fondante sia la bellezza e l’armonia, dalle quali si stavano invece separando senza rimpianto.
«… la maggior parte di noi ha perso quel senso di unità di biosfera e umanità che ci legherebbe e ci rassicurerebbe tutti con un’affermazione di bellezza (11)».
Non era necessaria la sfera di cristallo per leggere il futuro, sarebbe bastato leggere Pasolini, non per deriderlo, ma per meravigliarsi, di se stessi, di come, nonostante l’evidenza certe cose non le avessimo viste.
L’architetto Giuseppe Galimberti, figura nota della Valtellina in un suo articolo intitolato Il dogma e la poesia capace di ispirare l’architettura, pubblicato da La provincia di Sondrio, il 24 aprile 2016, scriveva anche:
« […] Considerare la norma semplice suggerimento e non certo dogma, serve a chi non ha fantasia. Il dogma non è mai verità, e questa non è mai forma statica ma in costante evoluzione. Gli architetti lo hanno da tempo dimenticato o, forse, la loro preparazione universitaria non ha preso in considerazione la poesia come parte integrante del fare architettura al servizio dell’uomo e della sua economia.
La civiltà normata ha ridotto la Valtellina a corridoio di transito per i “centri turistici” che hanno scimmiottato l’edilizia da catalogo della “mondializzazione”. Penso che per rinnovare il nostro mestiere siano da evitare i corsi che considerano la tecnica base del progetto, mi piacerebbe invece un corso in cui si parla di poesia che sa usare la tecnica per dar forma all’idea. Mi permetto di chiedere quale sia il giudizio che gli architetti assegnano a cinquant’anni di pianificazione “scientifica” che, da sempre, ha evitato il confronto con chi ha della scienza un’opinione diversa. Forse sarebbe giusto chiedersi quale sia la causa della crisi che stiamo vivendo, io l’identifico con l’incapacità di leggere nella psiche del tempo il bisogno di cambiamento che, da sempre, accompagna l’uomo nel suo divenire. Ho sempre considerato il lavoro dell’architetto politica applicata alla gestione territoriale: quello che osservo ogni giorno mi chiarisce senz’ombra di dubbio che il progettare si identifica con la norma dettata dalla politica di “favore” cui interessa il consenso dell’ignoranza.
Gli architetti privi di io sono esecutori acritici di questa realtà, il cambiamento richiede artisti e non tecnici amorfi. Proporre il cambiamento può avvenire “educando col progetto” i politici ai quali si deve chiedere di uscire dal luogo comune che vede nel consumo la base dell’economia. Nella storia dell’arte l’architettura era considerata la prima fra le arti. Pienza era progetto urbanistico entro un territorio, la sua architettura qualificava il tempo ed il suo progettista, i navigli a Milano erano progetto che legava la città al suo intorno per essere economia».
Abbiamo accettato così ripetutamente, acriticamente, quando ci veniva somministrato fino a considerare normale non vedere più il cielo, respirare veleno, vedere solo paesaggi d’auto e insegne pubblicitarie
Note
1 – Bateson, Gregory – Mente e natura – Adelphi.
2 – Spirituale è un termine che in alcuni incute fastidio (non esiste, esiste solo la materia) in altri incomprensione (cosa senza o di non chiara identità). Ai primi si può domandare se i sentimenti esistono per poi chiedergli di che materia sono fatti. Ai secondi si può fare presente che riconoscere la propria natura e rispettarla nelle scelte comporta seguire la direzione spirituale di se stessi, una linea che tende a mantenerci sul vero benessere. Vero in quanto non fondato sul desiderio, non soggetto alle pene della mancanza.
3 – Foucault, Michel – L’ordine del Discorso, i meccanismi sociali di controllo e di esclusione della parola – Einaudi.
4 – Iannone, Luigi – Sull’inutilità della destra – Solfanelli.
5 – https://play.google.com/music/preview/Taurhwa3ibi2lz6hjtznayoeq7m?lyrics=1&utm_source=google&utm_medium=search&utm_campaign=lyrics&pcampaignid=kp-lyrics.
6 – Maturana Humberto-Dàvila Ximena – Emozioni e linguaggio in educazione politica – Eleuthera.
7 – Nucara, Letizia – La filosofia di Humberto Maturana – Marsilio.
8 – Bateson, Gregory – Mente e natura – Adelphi.
9 – Il sorpasso, film di Dino Risi, 1962. Racconta l’arrogante euforia immatura di quegli anni.
10 – de Saint-Exupéry, Antoine – Il piccolo principe – Bompiani.
11 – Bateson, Gregory – Mente e natura – Adelphi.
Bibliografia
– Bateson, Gregory – Mente e natura – Adelphi;
– Bateson, Gregory – Verso un’ecologia della mente – Adelphi;
– Conserva, Rosalba – La stupidità non è necessaria. Gregory Bateson, la natura e l’educazione – La nuova Italia;
– Cotugno, Anna-Di Cesare, Giovanni (a cura di) – Territorio Bateson – Meltemi;
– De Biasi, Rocco – Gregory Bateson. Antropologia, comunicazione, ecologia – Cortina;
– Demozzi, Silvia – La struttura che connette. Gregory Bateson in educazione – ETS;
– Foucault, Michel – Le parole e le cose: un’archeologia delle scienze umane – Rizzoli;
– Foucault, Michel – L’ordine del Discorso, i meccanismi sociali di controllo e di esclusione della parola – Einaudi;
– Langs, Robert – La comunicazione inconscia nella vita quotidiana – Astrolabio;
– Manghi, Sergio – Cantare il mondo sull’idea di conoscenza di Gregory Bateson – Franco Angeli;
– Manghi, Sergio – La conoscenza ecologica. Attualità di Gregory Bateson – Cortina;
– Maturana, Humberto-Dàvila, Ximena – Emozioni e linguaggio in educazione politica – Eleuthera;
– Maturana, Humberto-Varela, Francisco – Macchine ed esseri viventi – Astrolabio;
– Mcluhan, Marshall – Gli strumenti del comunicare – Il Saggiatore;
– Pasolini, Pier Paolo – Scritti corsari – Garzanti;
– Watzlawick, Paul-Helmick-Beavin, Janet-Jackson DeAvila, Don – Pragmatica della comunicazione umana – Astrolabio.