Dal 1995 al 2010 sono stato titolare dell’agenzia di trek e spedizioni Guide Alpine Star Mountain e i miei soci erano Agustina Lagos Marmol e Cristiano Delisi, guida alpina romana trapiantata a Finale Ligure dove l’agenzia aveva sede.
Cristiano era un alpinista coi fiocchi (sua e del fratello Fabio la Via Groucho Marx sulla Est delle Jorasses, ma anche Hellzapoppin a Gaeta, per esempio) ma soprattutto per me un amico e un maestro.
Così lo descriveva Roberto, un suo amico romano:
Cristiano era uno spontaneo, le cose che aveva dentro non le nascondeva, era diretto e franco, ma il lato più bello del suo carattere era l’ironia e il modo giocoso di affrontare la montagna, senza tanti preconcetti e pippe mentali.
Tra le tante realizzazioni che ci ha lasciato, c’è la stupenda Forza 17 all’Intermesoli (Gran Sasso), forse la più bella via del gruppo (e non solo).
Lui si autodescriveva così nel sito della nostra agenzia:
Professionista dal 1981. Istruttore dall1986 al 1998 ai corsi per Guide Alpine e membro della Commissione Tecnica dal 1988 al 1993. Nato a Roma nel 1954, vive a … bella domanda. In Sudamerica da bambino, a Roma fino a poco tempo fa, ora a Finale Ligure, con vari rimbalzi tra Alpi Occidentali, Nepal e Malesia. In gioventù ha fatto qualche salita di rilievo e si è dedicato per un po’ di tempo anche alla speleologia. Si occupa anche di turismo internazionale. Ritiene che il più grande filosofo dell’epoca moderna sia stato Groucho Marx.
Una rara forma di leucemia se l’è portato via nel 2005.
Il suo modo apparentemente scanzonato di affrontare la montagna si rifaceva ai suoi modelli britannici che avevano fatto storia come Chris Bonington, Don Whillans, Doug Scott, Mick Burke, Alan Rouse… Per lui l’alpinismo era quella roba lì e anche il suo approccio letterario (vastissimo) passava anche per gli scritti e la filosofia dei sudditi di sua maestà. Resta memorabile una sua partita a biliardo con Joe Simpson a Namche Bazar in cui scorreva più whisky nepalese che acqua nel Dudh Koshi.
Nella nostra agenzia ogni proposta era descritta con una dovizia sentimentale oggi introvabile in molte proposte mordi e fuggi di guide alpine, che hanno evidentemente meno tempo dei loro clienti.
I nostri erano viaggi “à la Shipton”, diceva Cristiano, uno li deve desiderare con tutto se stesso perché sono faticosi e scomodi. E questa è l’eredità che mi ha lasciato come collega.
Ecco uno dei suoi scritti, che altro non erano che le schede tecniche dei nostri viaggi. Ve li propongo perché sono belli, stimolanti e perché ho tanta nostalgia di lui.(Marcello Cominetti).
Super Monte Bianco
(sei giorni a piedi dal fondovalle alla vetta del Re delle Alpi)
di Cristiano Delisi
Mal tollero il camminare fine a se stesso, le escursioni in giornata sali e scendi, avanti e indietro. Adoro però il viaggio a piedi, soprattutto se presenta qualche piccola difficoltà. Andare lentamente da qui a lì e poi da lì a là, un po’ alla volta, tappa dopo tappa, di rifugio in rifugio, di villaggio in villaggio, ogni arrivo una nuova partenza senza sentire il bisogno quotidiano di finire, terminare, arrivare.
Ci sono stati anni in cui ho speso molto del mio tempo al Monte Bianco, tempo dedicato in massima parte a far salite. Seduto su un terrazzino, con il distacco mentale tipico dell’assicuratore, lo sguardo a seguire linee, creste, morene, sentieri, osservavo valli, ghiacciai e vette. Senza sapere perché, senza cercare alcunché, piano piano, calzando i ramponi, fumando una cicca su un sasso, bevendo una birra al rifugio, la geografia del massiccio si svelava, chiara, logica, ovvia.
Una decina di anni fa, più o meno copiando colleghi europei, più o meno intuendo un filone professionale, cercavo itinerari alpini d’alta quota per arricchire con qualche proposta sfiziosa e di lunga durata il mio catalogo: ma il Monte Bianco non si offriva facilmente, girargli intorno sì, ma non attraversarlo. I maggiori bacini glaciali non sono collegati, nessun colle facile, solo onnipresenti sbarramenti di granito e ghiaccio, e poi il problema degli accessi. Ormai ci siamo abituati alle funivie, per carità lasciatele pure lì, ma volevo arrivare nel cuore del massiccio con il minimo di mezzi di risalita. E poi il Ghiacciaio del Gigante non mi sembrava proprio un punto di partenza corretto per quello che avevo in mente.
C’è uno spicchio di Monte Bianco, meno alto, meno eroico, meno cantato, meno conosciuto. E’ targato CH, un angolo di valli riservate, di scorci da scatola di cioccolatini, di turismo quieto, lontano dal circo di Chamonix e dallo struscio di Courmayeur. Le vette sono più basse, i ghiacciai più mansueti, la gente pacata, una montagna dove “plaisir” è sicuramente una parola più corretta di “extreme”. Una sorta di giardino sul retro, di entrata secondaria perfetta per avvicinarsi al Re delle Alpi in punta di piedi, senza squilli di tromba, senza sfilate, senza architetture solenni. Un’entrata perfetta, un avvicinamento morbido, graduale e non drammatico al regno dell’arido splendore dell’alta quota.
Una magnifica entrata per un itinerario che permette, senza particolari difficoltà tecniche, di vagare attraverso il massiccio più bello del mondo (a mio insindacabile giudizio) e, avendo visitato tutte le stanze più prestigiose dell’esposizione, di salire alla vetta con una buona acclimatazione. L’impegno fisico non è poco, alcune tappe sono veramente lunghe, ma ci sono anche momenti di piacevolissimo riposo e tappe più brevi che permettono di recuperare energie. Da un punto di vista tecnico ci si muove su percorsi che possono andare da F a PD, ma la mancanza di vere e proprie difficoltà tecniche non deve far sottovalutare un ambiente che resta di alta montagna e che soprattutto in caso di maltempo alle quote più alte può presentare rischi notevoli.
Varianti e rimaneggiamenti sono sempre possibili ma a me piace così come ve lo presento, lo trovo logico ed equilibrato, in grado di permettere anche ai meno esperti, se adeguatamente allenati e guidati, di affrontare con probabilità di successo il Re delle Alpi.
1° giorno
L’inizio è proprio escursionistico. Da Arnouva 1769 m, alla testata della Val Ferret (autobus da Courmayeur e possibilità di pernottare al rifugio Elena – tel. 0165.844688), si sale lungo i sentieri del Tour du Mont Blanc al Grand Col Ferret 2537 m con un favoloso panorama che dalla parete est delle Grandes Jorasses va fino al Mont Dolent. Una lunga discesa tra pascoli, mucche e formaggi ci informa che siamo ufficialmente entrati in Svizzera. Una volta sul fondo valle si potrebbe arrivare in autobus a Praz de Fort, punto di partenza della prossima tappa. Suggerisco però di fermarsi a Ferret 1700 m, una chiesetta e quattro case, per godersi la deliziosa “Pension du Col Fenêtre” (tel. 0041.27.7831188), ristorante in giardino, camere e dormitorio a prezzi onestissimi. 4/5 ore.
2° giorno
Meta della seconda giornata, ancora escursionistica ma sicuramente più impegnativa, è la Cabane d’Orny 2840 m (tel. 0041.27.7831887) appollaiata sopra a un laghetto al bordo dell’omonimo ghiacciaio che scende dal Plateau du Trient. In autobus si va a Praz de Fort 1150 m, punto di partenza per i 1700 m di dislivello del Vallon d’Arpette de Saleina che ci aspettano. C’è un modo meno sportivo e più comodo di arrivare, ma ve lo lascio da scoprire. Anche se si presenta ostica, la giornata si può rivelare molto piacevole, un bel sentiero ripido fa guadagnare quota con regolarità prima attraverso boschi ricchi di mirtilli, poi per pietraie aperte e dominate dallo splendido monolito del Petit Clocher du Portalet e con begli scorci sul Glacier de Saleina. Il rifugio, al centro di un’area di facili arrampicate, è molto frequentato da gruppi di ragazzi di varie nazionalità europee. 6/7 ore.
3° giorno
Il terzo giorno non offre dislivelli considerevoli ma un lunghissimo peregrinare verso una delle aree più belle e spettacolari del massiccio, il bacino del Glacier d’Argentière. Raggiunto e attraversato il Plateau du Trient ci si affaccia alla Fenêtre de Saleina 3267 m all’estremità occidentale delle Aiguilles Dorées e con un breve pendio si scende sul Glacier de Saleina di fronte agli incombenti seracchi della Nord dell’Aiguille d’Argentière. Se ne attraversa la parte alta per raggiungere e attraversare il Col du Chardonnet 3323 m, uno dei pochi momenti “tecnici” del nostro itinerario e punto saliente della giornata, 50 m di canale a 50° (attenzione alle condizioni, pericoloso con poca neve, percorso alternativo per il Glacier du Tour). Siamo adesso affacciati sul ghiacciaio d’Argentière, dominato dalle grandi pareti Nord dell’Aiguille Verte, di Les Droites, di Les Courtes e dell’Aiguille de Triolet. La discesa, assai lunga, ci porta dapprima a raggiungere il ghiacciaio a circa quota 2500 m, poi a seguirlo fino a dove precipita con un’immane seraccata. Roccette attrezzate e morene ci portano alla Croix de Lognan 1973 m, stazione intermedia della funivia dei Grands Montets. 10 e più ore. Non mancano le scelte di alloggio ad Argentière ma io di solito mi fermo allo Chalet Nouveau Grassonet (tel. 0033.4.50540187). Ostello a camerate, semplice e spartano, ma accogliente e dalle atmosfere un po’ antiche.
4° giorno
Una mattinata di riposo e tranquillità per godersi il fondo valle, tirare il fiato, lavarsi i calzini, ficcare il naso a Chamonix. L’impegno della giornata è raggiungere il refuge du Requin 2516 m (tel. 0033.4.50531696), uno dei più antichi del massiccio nel bel mezzo della Mer de Glace e ai piedi delle Aiguilles de Chamonix. Si raggiunge facilmente Chamonix con il bus, fermata proprio davanti all’ostello, per andare a prendere il trenino di Montenvers 1913 m. La risalita della Mer de Glace, anche se inizia in pieno caos turistico, è uno dei percorsi più spettacolari e impressionanti che io conosca: Drus, Aiguille Verte, Grandes Jorasses, Aiguilles de Chamonix, Dente del Gigante… da farsi venire il torcicollo. La camminata si svolge prevalentemente sul ghiacciaio scoperto e scricchiolante per terminare con una breve ferrata che conduce al rifugio sotto l’incombente seraccata che sarà il compito dell’indomani. 3/4 ore.
5° giorno
La seraccata del Ghiacciaio del Gigante va obbligatoriamente affrontata per raggiungere il refuge des Cosmiques 3613 m (tel. 0033.4.50544016). Né particolarmente difficile né particolarmente lunga, la seraccata è però un labirinto abbastanza complesso che può richiedere parecchio tempo per trovarne il bandolo. Affrontata con calma e senza fretta si rivela uno dei tratti più divertenti e spettacolari di tutto il giro. Una volta superato questo ostacolo e superati i 3000 metri si entra nella vastità del Ghiacciaio del Gigante (Glacier du Géant), dominato dalla Est del Mont Blanc du Tacul, e merlettato dalle guglie di granito rosso dei Satelliti. Un ampio giro verso nord ci porta dapprima ad affrontare la salita del Col du Gros Rognon 3415 m, ad attraversare poi il plateau del Col du Midi al termine del quale raggiungiamo la nostra meta. Il refuge des Cosmiques, moderno e tecnologico, è il vanto della Compagnie des Guides de Chamonix. Ai piedi dell’Aiguille du Midi e strategico punto di partenza per l’ascensione alla vetta del Bianco, è sicuramente il più confortevole e meglio organizzato rifugio d’alta quota che io abbia visitato e memorabili sono le cene che vi vengono servite. 4/5 ore.
6° giorno
Giornata conclusiva e meta ultima del nostro viaggio, i 4810 m della vetta del Bianco. Sveglia all’una di notte, partenza alle 2.00. Un inizio in carovana che ormai non si può evitare, siamo proprio tanti a voler salire in vetta, il solito “stranimento” che accompagna le partenze a questi orari infelici, un pizzico di difficoltà a trovare il ritmo, un po’ di attesa se la crepaccia terminale presenta qualche difficoltà. Poi finalmente si ingrana, la carovana si dirada, il pendio lungo e monotono è ottimo per rompere il fiato e finalmente si tocca quota 4000 sulla spalla del Mont Blanc du Tacul. Una brevissima pausa prima di affrontare l’unico passaggio un po’ tecnico, la crepaccia terminale e il breve pendio che portano prima al Col du Mont Maudit 4345 m e poi al Colle della Brenva 4303 m nella magia del primo sole. Il tratto finale, il lungo pendio regolare che conduce in vetta, sembra non finire mai e richiede tutta la perseveranza di cui disponiamo e, se tutto ha funzionato a dovere, si tocca la vetta verso le 8.30.
Discesa
La scelta della via di discesa merita una piccola dissertazione a sé. La via del versante italiano (Aiguilles Grises, rifugio Gonella, Ghiacciaio del Miage) è la scelta più elegante, richiede però uno stato di forma fisica non da tutti; quella dei Grands Mulets è consigliabile solo in caso di maltempo (è quella che fa perdere quota più velocemente), altrimenti è da evitare, oltre ad avere un tratto esposto a cadute di seracchi, costringe ad attraversare la Jonction ormai diventata un micidiale labirinto; quella dell’Aiguille du Goûter è a mio avviso troppo affollata, il famoso canale sotto al refuge du Goûter conta troppe vittime ormai e oltre tutto passa nella zona più brutta del massiccio quindi… meglio scendere da dove si è saliti verso il refuge des Cosmiques. Ci toccherà pure risalire all’Aiguille du Midi per scendere a Chamonix in funivia, ma sarà proprio l’ultimo sforzo.
Caro Marcelllo, grazie per aver condiviso il tuo vissuto.
E’ davvero bello leggere Cristiano e immagino che lo fosse anche lasciarsi condurre alla scoperta di nuovi itinerari.
Per le descrizioni e la lentezza la penso come te e il mio sito rispecchia i miei intenti.
mario 11 dicembre 23 Con cristiano nel1986 in cima al cristobal colon ancora mi emoziono. ciao. Cristiano.
A parte l’affetto che conservo per Cristiano come amico, prima che come collega, ho deciso di mandare al Capo Gogna questo scritto perché rileggendolo ho ritrovato lo spirito che avevamo a quei tempi. Tutto viaggiava più lentamente ma la passione che mettevamo nel nostro lavoro di guide, soprattutto nel come proporci in questi casi, è qualcosa che oggi non esiste più. Infatti, sovente le informazioni su una salita o un tour di più giorni, sono molto più stringate e fanno riferimento a aggettivi stucchevoli come: mozzafiato, spettacolare, mitico, oltre i tuoi limiti, e via discorrendo. Arrivano diretti al punto. O ti piace oppure no. La scelta è veloce. Non lascia tempo al sogno e rende ogni esperienza simile alla successiva.
Era qui che l’articolo voleva porre l’attenzione.
Mi rendo conto di essere “vecchio” perché nelle mie proposte sono sempre prolisso e abbondante di informazioni, però la montagna è la mia vita, non posso svenderla ignorantemente e ho la maledetta pretesa che al ritorno da una salita, chi ho accompagnato, sia una persona migliore di prima di incontrarmi.
Con Cristiano avevamo incontrato questa comunione di intenti che funzionava a meraviglia.
Oggi, questo stile, mi procura più mancato lavoro che successo economico, ma mi va bene così. Resto sempre convinto che un risultato soddisfacente abbia sempre un prezzo alto da pagare in termini di fatica e scomodità. Lo dico sempre prima e lo sottolineo. Non sono incline a facili entusiasmi stile dj o animatore/babysitter come vedo che è accaduto a diversi miei colleghi.
Lavoro meno ma con soddisfazione. Non sarei mai capace di essere una buona guida se mi annoiassi a morte. E per me l’alpinismo è sempre stata pura voglia di vivere. Come lo era per Cristiano.
È stato molto bello.
Bell’itinerario ben raccontato. Doveva essere una gran persona il Delisi.
Mi ha fatto un piacere enorme leggere questo omaggio ad una persona con la quale ho condiviso non poche esperienze di montagna: selvaggio blu, valdese, creste del rosa, Nepal …. . Ma che andava oltre la montagna e con il quale si poteva parlare di tutto, anche di elio e le storie tese. Grazie ad Alessandro e Marcello.
Cristiano mi ha accompagnato come guida in alcune salite, ricordo con divertimento che mentre in macchina scendevamo a Sperlonga lui mi rimproverava sempre perché andavo troppo piano.
“Arbè! Se continui così arrivamo domani notte”
E poi una notte, passata a chiacchierare al Bivacco Bafile sul Gran Sasso mentre aspettavamo il mattino.
Ho il dispiacere di non aver potuto fare con lui una salita sul Bianco che mi aveva proposto.
Ciao Cristiano e grazie Marcello per la storia
Alberto Graia
Ricordo quando lessi (sulla Rivista della Montagna?) della via aperta dai fratelli Delisi sulla parete est delle Grandes Jorasses.
E ricordo pure che pensai: “Ca**o!”. ???
… … …
Pace alla sua anima.
Cristiano è stato un amico e compagno di avventure, prima di scegliere la strada del professionismo e abbandonare Roma. Piccolo, entusiasta, sempre con la risata pronta, matto come un cavallo. Fumava come una ciminiera. Usavamo la “scala Delisi”: la difficoltà di un tiro di corda era data dal numero di cicche che Cristiano riusciva a fumarsi mentre il primo saliva. Siamo arrivati ben oltre il settimo grado…
Un giorno, al raduno in Brenta, andammo a fare una via di Detassis sulla parete ovest del Crozzon. Credevo fosse una grande classica; il giorno prima di partire Detassis ci disse “bravi, andate, fate la seconda ripetizione”. Oh cacchio. Su seicento metri trovammo due chiodi. E naturalmente tirammo tardi e bivaccammo in cima (meno male che c’era il bivacco fisso). E naturalmente non avevamo niente da bere e mangiare. Cristiano era disperato perché aveva finito il pacchetto di sigarette. La mattina, dopo la ravanata oscena per gli sfasciumi fino alla Tosa, ci buttiamo giù per la normale, abbrutiti dalla fame e disidratati, e incrociamo in fondo un gruppetto di escursionisti. Cristiano si precipita verso di loro: “Che, ce l’avete ‘na paja?”
Anch’io ricordo volentieri un giro attorno al monte Bianco, compresa la salita in vetta nel bicentenario della prima accensione. All’epoca vidi anche la differenza tra Chamonix e Courmayeur (che i fascisti avrebbero chiamato Cormaiore), tra la modernità e la tradizione. Eccessiva l’una, ma impotente l’altra.
Bellissimo. Groucho Marx non la farò mai ma ora ne ho compreso l’origine