Perché basta dighe

Perché basta dighe
di Fabio Balocco

Stura, Soana, Vanoi. Non diranno nulla alla stragrande maggioranza dei lettori. Eppure sono a loro modo importanti, anzi, esemplari. Sono tre torrenti dell’arco alpino, i primi due in Piemonte, il terzo a cavallo tra Veneto e Trentino. Tre torrenti incredibilmente intatti. Incredibilmente, se ricordiamo che uno studio della Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi, studio del lontano 1992, ammoniva che già il 90% dei corsi d’acqua delle Alpi non versava più in condizioni di naturalità. Per vari fattori: dalle cementificazioni alle derivazioni per scopi agricoli; dagli sversamenti industriali all’idroelettrico (piccolo o grande). Bene, questi tre torrenti di cui dicevo sono ancora intatti, si sono salvati. Da qui la loro eccezionalità. Ma integri potrebbero esserlo non per molto, perché minacciati di essere sbarrati. Un bel muraglione di qualche decina di metri e stop, l’acqua non scorre più. Come è accaduto a molti torrenti, in Italia, Francia, Svizzera, Austria. Sono le dighe, che possono essere ad uso irriguo, idropotabile, idroelettrico. Se ne sono costruite a centinaia. Il Registro Italiano delle Grandi Dighe ne contava 526 nel 2023.

https://dgdighe.mit.gov.it/categoria/articolo/_registro_dighe/RID_2023

Fabio Balocco

Di dighe però non se ne realizzano più da decenni, ma ecco che oggi sono tornate di moda. Complici soprattutto la ricerca di energia rinnovabile e quella di acqua a scopo irriguo, complice in questo secondo caso il cambiamento climatico in atto, specie sotto la forma delle scarse precipitazioni. Ora, ci sarebbe molto da dire circa la realizzazione di nuovi sbarramenti sui corsi d’acqua. Per quanto riguarda le energie rinnovabili, limitandoci alle Alpi, Enel Green Power nel 2018 calcolava la bellezza di 3200 impianti tra grande e piccolo idroelettrico (inferiore ai 3 MW di potenza).

https://www.enelgreenpower.com/it/learning-hub/energie-rinnovabili/energia-idroelettrica/italia

Verrebbe da dire che le Alpi “hanno già dato”, mutuando una barzelletta ligure, ma qui c’è ben poco da ridere perché la creazione di impianti seppure piccoli sui corsi d’acqua ha spesso decretato la fine del corso stesso, perché il concessionario non rilascia il deflusso minimo vitale previsto per legge. E questo è già un problema. Ma non trascuriamo neppure questo elemento, e cioè che un torrente che scorre libero fa parte integrante del paesaggio ed anzi ne costituisce un elemento fondamentale e di sicuro richiamo turistico. A margine, ma non poi molto, la considerazione che prima di pensare a nuove fonti di energia si dovrebbe affrontare il tema di cosa serve. Per quanto riguarda invece l’uso irriguo, siamo alla follia perché si pretende di avere più acqua senza fare nulla né sul fronte del risparmio della risorsa, né su quello dell’alimentazione, visto che la stragrande maggioranza della risorsa non serve all’uomo, ma serve per far crescere mais, soia, insomma foraggio, da destinare al consumo da parte di animali costipati in allevamenti intensivi.

Insomma, davvero si vogliono sacrificare gli ultimi corsi d’acqua integri? Non è antistorico, tanto più oggi che l’obiettivo della strategia dell’Unione Europea per la biodiversità è liberare 25.000 km di fiumi entro il 2030? Ed esso include anche la rimozione delle barriere non necessarie.

https://it.euronews.com/green/2023/10/17/dighe-obsolete-e-dannose-per-i-fiumi-ecco-come-lue-vuole-disfarsene

E’  in considerazione di questo rinnovato interesse per la realizzazione di nuove dighe che ho voluto ricordare – a distanza di circa un secolo – quando i primi invasi furono realizzati sull’arco alpino occidentale, giusto per soddisfare le esigenze di energia  elettrica dell’industria della pianura. Ma quel fenomeno che fu l’inizio della colonizzazione delle Terre Alte, e che fu altresì il motore dello sviluppo, non fu senza conseguenze. Conseguenze che furono non soltanto ambientali, ma anche territoriali e sociali, con la sommersione di intere borgate e Comuni dell’arco alpino, e conseguente espulsione degli abitanti. Una pagina triste e malinconica: un esempio di quella che io chiamo una “storia con la esse minuscola”, che si è portati a nascondere, a non narrare. Cosa che invece ho voluto fare io. Perché nessuna azione dell’uomo è a impatto zero, e spesso l’impatto è anche sui suoi simili. Il libro si intitola Sotto l’acqua. Storie di invasi e di borghi sommersi ed è edito da LAReditore.

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Perché basta dighe ultima modifica: 2024-05-02T05:49:00+02:00 da GognaBlog

2 pensieri su “Perché basta dighe”

  1. 2
    Carlo Crovella says:

    Concordo con il principio di fondo dell’articolo, cioè la difesa a spada tratta degli ultimi paradisi di ambiente integro (che poi siano i torrenti alpini o le barriere coralline, poco importa: l’importante è difenderli). Sulle dighe però, se volgiamo evitarne di nuove, dobbiamo trovare delle fonti alternative di produzione di energia, specie se “pulita”. I combustibili basta, e sono d’accordo. Le pale eoliche e i campi di pannelli solari non piacciono agli esteti del paesaggio, e anche qui sono d’accordo: un altopiano tappezzato di pale è una forma alternativa di inquinamento (se non ricordo male, se n’è parlato qui, in un articolo di un annetto fa, o forse qualcosa di più). Il nucleare incute ancora timori, anche nella versione “ultima generazione” e reattori piccoli e non più mega centrali anni settanta. Insomma, produrre energia per soddisfare i bisogni dell’umanità è inquinante, in un modo o nell’altro. La soluzione? Quella che a me piace di più è ridurre lo stile di vita: se torniamo a uno stile più naturale e meno consumistico, dovremmo consumare meno energia e quindi alleggerire la domanda di produzione di energia. Saremo capaci? A giudicare dal totem del benessere che è la pubblicità (i contenuti degli spot pubblicitari, per la precisione), direi proprio di no. Per cui delle soluzioni per produrre energia se le dovremo trovare, sennò non riusciremo a evitare nuove dighe, nuove pale, nuovi campi di pannelli solari, ecc ecc ecc.

  2. 1
    Expo says:

    I fiumi allo stato naturale ( non canalizzati , rettificati , imbrigliati ) sono rimasti pochissimi , quasi estinti.
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    L’idroelettrico aveva un senso negli anni 50 , quando sono state sfruttate le piu’ grandi portate e cadute , oggi serve guardare ad altro per non completare il disastro.
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    Purtroppo i fiumi li conoscono in pochi , principalmente pescatori e canoisti , e quei pochi non contano un cazzo.
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    Oggi poi , con la FALSA affermazione che l’idroelettrico sia molto “ecologico” , si stanno captando con le microcentraline anche corsi d’acqua con portata irrilevante , distruggendo ambienti importantissimi.

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