La Chartreuse, subito a nord di Grenoble e a sud di Chambéry, si alza dalla valle dell’Isère con una bastionata calcarea di decine di chilometri, da lontano inconfondibile. Mostra così d’essere un altopiano da qualunque parte la si osservi, stagliata di netto ai lati con pareti precipiti. Sono queste le mura più antiche.
La Chartreuse è infatti un gigantesco e regale castello di pietra calcarea, occupato all’interno da immense foreste e grandi radure. La pressione che lo creò fu determinata dal sollevamento dei vicini massicci granitici (Monte Bianco, Belledonne, ecc.): questi spaventosi sommovimenti piegarono gli strati sedimentari delle sue rocce. In seguito iniziò il lungo lavoro di erosione: gli anticlinali furono praticamente sfondati, mentre i sinclinali resistono ancora oggi e costituiscono le sommità. Il paesaggio presenta cime tronche e asciutte, quasi tavole di pietra, isole dure su foreste più modellate, umide e morbide.
Proprio le caratteristiche di isolamento appena descritte determinano un clima più rigido e più umido che nel resto delle Prealpi Calcaree del Nord: ciò ha significato, assieme all’evidente difficoltà di accesso, l’impossibilità per l’uomo di una colonizzazione antica. Soltanto nell’XI secolo, con la costruzione della Grande Chartreuse, si ebbero i primi timidi insediamenti. Tra le varie attività intraprese, non dissimili da altre zone di montagna, fu ingegnoso lo sfruttamento di un minerale, dal quale si estraeva ferro tramite rudimentali forni alimentati a legna.
Le prime costruzioni (1084) del convento erano ben differenti dall’attuale. San Bruno e i suoi sei compagni erano stati mandati lì, nel Désert de Chartreuse, dal vescovo di Grenoble. Il luogo era del tutto disabitato e i monaci costruirono qualche capanna di legno e una chiesa. Il primo monastero fu presto distrutto da una frana e un discepolo di San Bruno, Dom Guigues provvide a riedificarlo più in basso. In seguito vari incendi danneggiarono a più riprese gli edifici, fino a quello del 1676. La costruzione attuale è del 1688, occupa cinque ettari ed è coperta da 40.000 mq di tetti in ardesia.
La solitudine ha governato questo convento attraverso i secoli: anche le regole dell’ordine monastico dei certosini, redatte da Dom Guigues con molta fedeltà allo spirito del fondatore, sono rimaste immutate, forti della loro essenziale semplicità. La vita del certosino è contemplativa, l’eremitaggio si organizza in tre momenti, la meditazione in preghiera, il lavoro intellettuale e il lavoro manuale.
Il convento non è aperto al pubblico: lo si può guardare da fuori, nella sua splendida cornice naturale. Ci possiamo solo immaginare cosa è la vita del monaco, chiusa tra mura antiche che rinserrano la sua volontà di isolamento e di concentrazione. Gli spessi muraglioni della Grande Chartreuse, unitamente alla recinzione, evocano in qualche osservatore la sensazione strana di essere lui il prigioniero: forse perché il muro è comunque un vincolo alla sua curiosità, forse perché di fronte a tanta austera maestà e in ambiente così sereno davvero gli pare di non essere stato in grado a suo tempo di fare le scelte giuste. E queste sono dunque altre mura antiche, che proteggono chi è libero d’essere prigioniero e impediscono chi è prigioniero fuori.
Alphonse de Lamartine preferiva il riparo di un ponte di legno nelle Gorges du Guiers-Mort: nel 1823, sotto gli scrosci d’un temporale, scrisse nelle sue Méditations: Non esistono spaccature di roccia più profonde, svolte di strada più inattese, ponti più arditi e incerti su abissi spumeggianti. Meno romantico, Alexandre Dumas padre nel 1832 degustò il celebre elisir della Chartreuse: Appena bevuta qualche goccia ci sembrò d’aver ingoiato del fuoco e ci mettemmo a correre per la stanza come degli invasati. Marco Milani, salendo al Dent de Crolles, fu investito per ore da un vento violentissimo: era sicuro di vivere un momento particolare in cui l’essere si stava rivelando e mostrava il suo potere.
Il massiccio della Chartreuse, nei pressi di Grenoble
E dopo monaci e visitatori più o meno illustri, parliamo degli abitanti, contadini, pastori e boscaioli. La Chartreuse non è mai stata nei secoli prodiga con loro e anche oggi la mancanza di un turismo invernale per lo sci alpino è da molti sentita come una condanna, anche se lo sci di fondo e i suoi bellissimi percorsi, favoriti dalla nevosità del microclima, offrono comunque un’invidiabile alternativa. La vicinanza a Grenoble, invece di favorire l’insediamento nel cuore del massiccio, provoca un aumento di abitanti nelle zone limitrofe: le vecchie e massicce case con i tetti a quattro versanti spesso diventano le seconde abitazioni dei cittadini, oppure sono affiancate da costruzioni nuove. Tutto oggi va così di fretta che il rimpianto supera sempre l’ottimismo: e così anche gli abitanti credono di essere un po’ prigionieri ed edificano questa loro convinzione sulla vaga invidia per chi è nato in città ed ha avuto dalla vita delle cose diverse. E queste sono le ultime mura antiche della Chartreuse, purtroppo solide come le altre: mura che impediscono senza esistere.
postato il 19 aprile 2014
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