E rimase Incompiuta

E rimase Incompiuta
di Ugo Manera

Una domenica sera di molti anni fa, di ritorno da una scalata con Franco Ribetti, ricevetti una telefonata da un amico che con la voce rotta dall’emozione mi comunicava che Isidoro Meneghin era caduto alla Rocca Sbarua. Con Franco ci precipitammo all’ospedale dove la sorella di Isidoro ci disse che il fratello era talmente grave che difficilmente sarebbe sopravvissuto: cessò di vivere infatti poco dopo mentre lo trasferivano da un reparto all’altro. Con Isidoro avevo compiuto innumerevoli scalate, sempre alla ricerca di nuovi problemi da affrontare e risolvere. Era un personaggio particolare, tendenzialmente solitario e per vari aspetti introverso ma, al di là delle apparenze, attento osservatore degli aspetti sociali della nostra vita. Nelle tante ore passate insieme sulle pareti, a volte durante scomodi bivacchi, abbiamo discusso molto, non solo di scalate ma di tutti gli aspetti del vivere quotidiano.

Sulla via del Plenilunio alla Parete delle Aquile

17 febbraio 2017, da un notiziario radiofonico apprendo che sullo Chaberton, in Valle di Susa, in tre erano morti, travolti da una slavina; tra di essi una guida alpina di Torino. Poco dopo vengo a sapere che la guida era Adriano Trombetta, e con lui c’erano: Antonio Lovato, istruttore della scuola di alpinismo G. Gervasutti e Margerita Beria, maestra di sci.

Conoscevo bene Adriano e tante volte abbiamo parlato di scalate, sempre in modo scherzoso e allegro. Abbiamo scalato una volta sola insieme sulla Parete delle Aquile sopra al Caporal.

Proprio della Parete delle Aquile voglio raccontare, di una via che accomuna, a molti anni di distanza, questi due sfortunati amici che occupano un ruolo importante nella storia dell’alpinismo torinese.

La via Incompiuta alla Parete delle Aquile (Caporal)
Se si parla dei Dirupi di Balma Fiorant nessuno sa di cosa si tratta né dove si trovano, se invece nominiamo il “Caporal”, l’universo degli arrampicatori sa benissimo dove collocarlo sia geograficamente che nel contesto storico; ebbene sono la stessa cosa, solo che il primo è un nome locale che identifica l’insieme di dirupi tra i quali si colloca la parete del Caporal ed il secondo invece è l’appellativo alpinistico da me coniato nell’ottobre 1972 sull’onda dell’entusiasmo conseguente alla prima ascensione di quel magnifico scoglio (via dei Tempi Moderni). Da come si evince dall’introduzione, Balma Fiorant comprende, oltre al Caporal, altri importanti dirupi che successivamente presero nomi altisonanti come: “Parete delle Aquile” e “Parete dei Falchi”.

La Parete delle Aquile

La Parete delle Aquile, settore Incompiuta

Franco Ribetti, Ugo Manera e Isidoro Meneghin in vetta al Monte Lera dopo la prima dello via dello Spigolo, 1983

Isidoro Meneghin

Isidoro Meneghin sulla prima lunghezza dell’Incompiuta, 1979

Non sto a raccontare la storia della scoperta del Caporal, sarà per un’altra volta, ma mi soffermo un attimo sulle altre due. Come per il più celebre Caporal, anche la denominazione: “Parete delle Aquile” fu opera mia. Quando con Dino Rabbi e Claudio Sant’Unione tracciammo la prima via su quel formidabile dirupo, sopra di noi, per tutto il giorno volteggiarono due grandi aquile, avevano il nido in uno stretto camino che noi evitammo per non arrecare disturbo ai maestosi volatili e, passando poco al di sotto del nido, raccolsi una lunga e bella piuma che ancora conservo. Quando successivamente mi accinsi a stendere la relazione della nuova via la scelta del nome della parete fu praticamente obbligata.

Isidoro Meneghin in sosta sulla via Incompiuta, Parete delle Aquile, 1979

La “Parete dei Falchi” fu così denominata (credo da Isidoro Meneghin) non perché abitata dai falchi ma semplicemente perché più piccola e più in basso di quella delle aquile; quasi un senso di dovere nel rispetto delle gerarchie.

Negli anni che seguirono il 1972, in quell’angolo della Valle dell’Orco, divenuto ormai celebre tra gli arrampicatori, la mia attenzione fu costantemente monopolizzata dall’apertura di nuovi itinerari, spesso in competizione con altri scalatori. Sulla Parete delle Aquile aprimmo tre itinerari di cui almeno uno di grande respiro: la Via del Plenilunio; ma non ci bastava, cercavamo altre linee sempre più ardite. Con Isidoro Meneghin individuai una possibilità nella zona più ripida della parete lungo una linea di diedri rossastri tra grandi strapiombi. All’apparenza sembrava veramente un osso duro per cui ci armammo del miglior materiale tecnico a nostra disposizione ad eccezione del punteruolo perché avevamo scelto di non praticare fori nella roccia, e partimmo per un tentativo: era il 1979.

Isidoro Meneghin in azione sulla via Incompiuta, Parete delle Aquile, 1979

Carichi di ferraglia salimmo il disagevole canalone che porta sotto la parete e dopo un passaggio delicato raggiungemmo un terrazzo erboso alla base di un diedro obliquo dall’aspetto ostico che saliva verso gli strapiombi giallo-rossastri. Attaccai io, ma subito mi trovai in difficoltà perché l’accenno di fessura sul fondo era completamente cieco. Dovetti ricorrere a tutta la mia esperienza di chiodatore usando micro lamette di acciaio trattato e prendendomi qualche rischio: ma riuscii a raggiungere la sommità del diedro ove sostai alla base di uno strapiombo rosso scoraggiante. Sullo strapiombo Isidoro si impegnò in una lotta senza quartiere, la roccia per giunta non era salda, mi pare ancora di vederlo: appeso sulle staffe nel tentativo di fissare qualche cosa alla roccia, con il casco appeso all’imbragatura (sopportava malvolentieri il casco in testa ), lanciando esclamazioni ad ogni metro guadagnato. Piantò varie rurp nelle rughe della roccia e si sollevò con estrema delicatezza sui gradini più alti delle staffe per non far crollare castello e castellano. Qualche scheggia si staccò e rimbalzò vicino a me, poi finalmente riuscì a piazzare un buon chiodo Cassin (che lasciammo a testimonianza del nostro passaggio). Ancora parecchi metri di estrema precarietà su ancoraggi fantasiosi e aleatori, poi riuscì a vincere lo strapiombo rosso, trovò un punto ove piazzare la sosta, prese fiato e mi urlò: “Non ho mai fatto artificiale così difficile, credo si possa dare tranquillamente A4!”. Lo raggiunsi togliendo il materiale infisso con estrema facilità, poi toccò a me affrontare un tratto altrettanto difficile su ottima roccia però pressoché priva di fessure: altri numeri su micro lame di acciaio e invenzioni varie poi giungemmo sotto una fessura strapiombante sporca di licheni. Percorremmo tutta la fessura dapprima larga poi sempre più sottile fino a uscire su una placca inclinata e compatta. La parete finiva con questa placca lunga 15 o 20 metri. Non appariva difficile ma era totalmente priva di fessure, nessuna possibilità di assicurarsi. Ricorremmo a tutte le nostre risorse di esperti chiodatori ma non ci fu nulla da fare, senza i chiodi a pressione non si passava e noi, volutamente, li avevamo da tempo esclusi dal nostro equipaggiamento. Dopo vari inutili tentativi ci dichiarammo sconfitti e ripercorremmo a doppie, in discesa, la nostra via che per pochi metri rimase “incompiuta”.

Ugo Manera sull’ultima fessura della via Incompiuta, 1979

Il punto problematico della via Incompiuta, 1979

Passarono gli anni ma il ricordo di quella difficile lotta con la Parete delle Aquile rimase in me e ogni tanto raccontavo delle nostre fatiche a qualche amico. Nel 1998 accompagnai Maurizio Oviglia a rivisitare alcune pareti in preparazione di Rock Paradise, la raccolta di ascensioni scelte nel Gran Paradiso. Lo convinsi a una puntata alla Parete delle Aquile per vedere se la via Incompiuta poteva essere trasformata in una via di arrampicata libera di elevata difficoltà. Dopo tanta fatica a causa dei sacchi pesanti e, alla base della parete, l’emozione di aver posato gli stessi su due vipere, ci rendemmo conto che tale itinerario non si prestava all’arrampicata libera seppure estrema, ritenemmo poco saggio perciò usare il trapano e piazzare dei fix dove si doveva poi comunque salire in artificiale; meglio perciò lasciare la via così, allo stato originale, per chi volesse cimentarsi ancora con l’artificiale estremo di una volta. Abbandonammo l’Incompiuta al suo destino e ci rivolgemmo a un altro progetto.

Passarono altri anni e nel 2004 mi ritrovai in numerosa compagnia sulle rocce del Caporal per girare le riprese del documentario Cannabis Rock. Il gruppo era composto dal sottoscritto e da Piero Pessa in veste di attori, e da cineoperatori assistiti da due guide: Enzo Luzi e Adriano Trombetta. Le riprese furono effettuate sulla via del Sole Nascente, per due giorni lavorammo con il bel tempo ed in grande allegria; al termine delle riprese, in cima al Caporal, sostammo ad ammirare e commentare le pareti che ci circondavano. La Parete delle Aquile spiccava proprio di fronte con le sue strutture evidenziate dalle ombre pomeridiane, raccontai ad Adriano delle vie che vi avevo aperto soffermandomi sulla storia dell’Incompiuta e manifestando il mio rammarico per non averla completata. Gli indicai dove passava la via poi scendemmo a valle.

Adriano Trombetta sulla via Incompiuta, 2004

Passò l’estate e un giorno, diretto ad arrampicare a Freissinières nel Briançonnais, passando sotto le pareti, mi sentii chiamare, alzai gli occhi e scorsi Adriano Trombetta appeso sotto un grande strapiombo mentre provava un tiro di elevata difficoltà; mi urlò che era andato a provare la via Incompiuta alla Parete delle Aquile ma non era riuscito a passare. Molto incuriosito attesi il suo ritorno a terra e mi feci raccontare del suo tentativo. Conquistato dal mio racconto sulla cima del Caporal, era andato a provare la nostra via con un amico.

Aveva superato la prima lunghezza di corda in arrampicata libera dove io ero salito in artificiale, si era preso qualche rischio perché non riuscendo ad infiggere chiodi, era partito in libera sulla placca allontanandosi dal fondo del diedro e per almeno dieci metri non era riuscito a piazzare protezioni. Alla seconda lunghezza di corda però erano stati respinti. Adriano non era riuscito a raggiungere il vecchio chiodo Cassin da noi lasciato 25 anni prima e che rappresentava l’unico ancoraggio sicuro che Isidoro era riuscito a piazzare in quella lunghezza estrema. Trombetta era ridisceso e, deciso a ripetere il tentativo con materiale più sofisticato, aveva lasciato una corda fissa sulla prima lunghezza di corda.

Adriano Trombetta sulla via Incompiuta, 2004

Tra Adriano e me ci sono 40 anni di differenza e sentire raccontare da lui, talento emergente dell’alpinismo torinese, di uno scacco subito su una mia via, fece balenare in me un lampo di orgoglio e mi vidi proiettato all’indietro a battagliare con Isidoro su quelle rocce. D’istinto proposi al giovane amico di andare a ripetere il tentativo insieme, precisando però che il mio ruolo sarebbe stato quello di “spalla” non essendo ormai più in grado di fare il protagonista su quelle difficoltà.

Detto fatto, qualche giorno dopo salivamo carichi di pesanti sacchi di fianco al Caporal, nel canalone che porta alla Parete delle Aquile. Quante volte avevo salito quella pietraia tanti anni prima; sempre con qualche progetto nuovo in testa, verso avventure che mentre salivo lentamente mi ritornavano in mente nei minimi particolari. Ricordi avvolti in un sottile velo di nostalgia.

Giungemmo alla base della parete nel punto che io ben ricordavo, la corda lasciata da Adriano penzolava lungo il diedro della prima lunghezza e noi la risalimmo con gli autobloccanti; Adriano si sistemò addosso il materiale da scalata e si avviò verso il passo che lo aveva respinto. La roccia in quel tratto, oltre ad essere strapiombante e priva di fessure, è anche friabile, il mio giovane amico ne staccò dei pezzi mentre cercava di fissare qualche cosa per progredire; io attento ad arrestare eventuali cadute per la possibile fuoriuscita di ancoraggi precari, osservavo anche i materiali che impiegava: i cliff e le rurp le usavo anch’io ai miei tempi, le ancorette invece non le avevo mai impiegate; ciò che notavo di molto diverso erano le staffe: io usavo staffe con tre gradini, raramente quattro, e cercavo di salire quasi sempre anche sul primo gradino; ora vedevo che le staffe moderne hanno molti gradini, questi sono ravvicinati ed Adriano evitava di salire su quelli più in alto. Oggi nell’artificiale moderno si usano spesso ancoraggi più aleatori che ai nostri tempi per cui le sollecitazioni debbono essere più soft, cosa non garantita dalla nostra tecnica molto più rude. Il tempo scorreva, il mio compagno saliva lento e ogni tanto invece di Adriano mi sembrava di rivedere Isidoro con il suo casco appeso alla cintura a imprecare perché la roccia lo respingeva.

Incompiuta alla Parete delle Aquile: Adriano Trombetta (2004) al chiodo lasciato nel 1979

Adriano superò il punto che lo aveva fermato nel suo primo tentativo, raggiunse il nostro vecchio chiodo ancora saldo, e sempre costretto al massimo dell’impegno, riuscì a ultimare la difficile lunghezza. Io lo raggiunsi passando con difficoltà da un ancoraggio all’altro e ricuperando tutto il materiale tranne il nostro vecchio chiodo.

Adriano Trombetta in discesa dalla via Incompiuta (2004)

Un tratto poco difficile ci consentì di raggiungere lo strapiombo che difende l’accesso alla fessura finale; due vaghi diedri privi di fessure lo solcano, qui la roccia è perfetta, mancano solo le fessure, mi ricordavo che in questo tratto ero dovuto ricorrere a tutta la mia “arte” di chiodatore per riuscire a salire. Anche Adriano si impegnò al massimo per infiggere qualche cosa in quelle rughe superficiali ma comunque salì e raggiunse la base della fessura finale. Il tempo era però volato e quando lo raggiunsi era ormai tardi, difficilmente saremmo riusciti a giungere in cima prima di sera.

Decidemmo di ripiegare lasciando delle corde fisse per poi ritornare a completare l’opera; avevamo con noi il trapano per la placca che mi aveva fermato nel 1979 per cui attrezzammo le soste con fix, vi fissammo le corde che dovevano rimanere in parete e ridiscendemmo alla base.

Le cose però non andarono secondo le nostre intenzioni: Adriano si infortunò a un ginocchio, subì un intervento che lo costrinse a un periodo di inattività così non ritornammo più. Sulla Parete delle Aquile sono rimaste le nostre corde ormai inutilizzabili e la via continua a essere incompiuta. Non mi sento neanche troppo dispiaciuto per questa conclusione, in fondo ho rivissuto una vecchia avventura in chiave moderna e il punto interrogativo è ancora là, forse qualcuno troverà la voglia di andare a cancellarlo.

Infine non mi rimane che formulare una considerazione: nel 1979 in un giorno avevamo aperto la via salvo gli ultimi pochi metri, 25 anni dopo, in due tentativi non si è giunti ove eravamo arrivati allora, è probabile che la nostra Incompiuta sia la più difficile via in artificiale aperta sui dirupi di Balma Fiorant prima dell’avvento dell’artificiale moderno di Valerio Folco.      

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E rimase Incompiuta ultima modifica: 2017-04-13T05:56:38+02:00 da GognaBlog

2 pensieri su “E rimase Incompiuta”

  1. 2
    Giancarlo Venturini says:

    Grazie.” Alessandro “…per questa storia bellissima , di cui
    non conoscevo…i protagonisti…!! Saluti G.C.

  2. 1
    Alberto Benassi says:

    bellissimo ricordo di due grandi dell’alpinismo piemontese: Isidoro e Adriano.
    Credo due persone caratterialmente molto diverse ma accumunate dalla stessa grande passione: la montagna.
    Grazie per averci raccontato questa storia.

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